lunedì 27 febbraio 2012

IL COSTRUTTORE DI ILLUSIONI ALLA FONDERIA RIGHETTI DI VILLA BRUNO A SAN GIORGIO A CREMANO IL 25 FEBBRAIO

Buona sera a tutti.
Doveva essere  motivo per me di orgoglio e gratitudine avere avuto da Oriana Russo l'opportunità di poter presentare il mio libro in una biblioteca, in un luogo pensato e concepito intorno alla parola scritta. Perché La parola è  la protagonista principale del mio libro Il Costruttore Di Illusioni.
Invece il caso, per motivi organizzativi all’ultimo momento siamo stati spostati negli spazi attigui alla biblioteca, nella ex Fonderia Righetti.
Il caso, quei pochi attimi di ordine nel caos dell’universo, disse qualcuno,  ha voluto che la mia parola -così come oggi viene espressa regolarmente nel vecchio laboratorio di mio padre, un laboratorio di intaglio in legno e di restauro di mobili antichi, che io ho trasformato da laboratorio di oggetti in laboratorio di idee- fosse espressa in un antico laboratorio di oggetti trasformato in laboratorio di idee.
La materia, non so chi di voi è mai entrato in una fonderia: fumi, fuoco, bronzo fuso e colato, vasche di gesso per i calchi e vasche di terra cotta. Materia. E allora mi convinco sempre di più che la parola per un poeta è materia, come la pietra è materia per uno scultore.




Ringrazio innanzitutto tutti voi per la accorata risposta al mio invito; ringrazio il Maestro Carlo Molinelli, Dario Perroni dei MunduRua e Ornella Iuorio, per la perfetta sinergia di linguaggi diversi che hanno saputo realizzare intorno alla mia parola scritta, e ci tengo a precisare a titolo del tutto gratuito, mossi esclusivamente dalla passione per la ricerca di nuovi linguaggi espressivi; ringrazio Pina  Paone, conosciuta su facebook e che qui rappresenta per me tutti i miei contatti che mi hanno seguito in questa avventura;  e naturlmente  Oriana Russo per avere creduto in questa inattesa connessione, per citare una espressione che so essere molto cara a lei.
Sono felice perché questo libro, prima di essere una raccolta di “piccoli scritti”, così li amo definire e non poesie come tutti li chiamano, è innanzitutto una mia personale ricerca sul senso evocativo della parola e su come si possa costruire una poesia tenendo presente la mutazione in atto del linguaggio che sta trasformando radicalmente il modo di comunicare e, perché no, di pensare della gente, una mutazione di linguaggio la cui espressione massima  è l'uso dei network e del web (e che si riflette nei rapporti interpersonali, di amore di amicizia,  nell'arte, nella poesia, finanche nella politica, pensate il ruolo che hanno avuto i network nella campagna elettorale di Obama, oppure alla rete degli indignados o ai giovani del Maghreb che hanno praticamente ribaltato sistemi di potere consolidati da decenni partendo dalla comunicazione via web).
In questi anni con lo sviluppo delle nuove tecnologie di comunicazione, stiamo vivendo, consapevolmente o non,  un mutamento radicale del linguaggio, pari nella storia  solo al mutamento di linguaggio avvenuto 700 anni fa con l'invenzione della stampa e quindi con il trasferimento dalla parola orale, che ha caratterizzato il periodo antico e tutto il medioevo,  alla parola scritta, che ha caratterizzato l'epoca moderna. Le nuove scoperte della fisica, la quantistica, la teoriea delle stringhe, internet, google, i network, il concetto di link, stanno completamente rivoluzionando  il senso della parola e quindi del linguaggio e quindi del pensiero del singolo come delle comunità.

Il concetto di link è alla base di tutti i miei scritti.
Una caratteristica che già aveva caratterizzato la struttura narrativa del mio primo romanzo e che proprio Oriana Russo in un suo intervento ad una delle presentazioni del libro -era a san Sebastiano all'associazione Sott e Ncopp-  aveva notato e sottolineato, quando disse che secondo lei c'era un particolare del libro che dava la vera chiave di lettura del mio lavoro.
Quel particolare Oriana lo individuò già espresso sulla copertina, nel titolo, nella congiunzione “e” tra la parola antiquario e la parola professore.  L'idea della congiunzione del collegamento tra due parti, è la struttura stessa di quel libro, infatti la prima parte del libro è il regno delle ipotesi dove sale a galla dall'oblio della memoria dell'antiquario il suo personale e intimo  mondo, nella seconda parte è il regno del professore, che si presenta all'antiquario.  Al centro, come anello di congiunzione tra queste due realtà diverse tra loro, un sogno, il sogno dell'antiquario, dove incontra la “parola”. Il collegamento, il link, la congiunzione.

Una sola vocale che diventa la chiave di lettura di un intero libro.  Una raffinata e sottile  intuizione quella di Oriana che mi ha fatto poi riflettere in modo razionale su qualcosa che istintivamente stavo ricercando: una indagine, attraverso la narrazione, sulla trasformazione del linguaggio  che sta stravolgendo completamente  il modo di comunicare e di pensare  Gran parte di questo mutamento del linguaggio è espresso dal concetto di Link.

Pina Paone Mario Scippa e Oriana Russo

Link,  oggi un termine di uso comune, che fa parte delle nostre quotidiane abitudini ma  solo 15 anni fa era sconosciuto a chi non parlava inglese. Link, una parolina, semplice, che letteralmente significa anello, collegamento, catena, che ha completamente rivoluzionato il nostro modo di comunicare.

Il link si è imposto con la comparsa di google il primo motore di ricerca in internet che suggerisce una consultazione delle pagine web in funzione di un ordine stabilito in virtù delle “pagine più linkate” dalla parola che stiamo cercando.
Linkate altro termine completamente nuovo nel dizionario italiano, comune a tutti noi e che fino a pochissimo tempo fa neanche esisteva e che significa :  pagine che possono avere niente in comune tra loro se non quella parolina azzurra, quel collegamento, il link:



Una sola parola che può mettere in relazione realtà diverse tra loro e queste realtà con noi. Che forza il link

Torniamo al libro di stasera
Come nasce il Costruttore Di Illusioni

Io credo che per ogni scrittore ogni libro che scrive non è altro che la continuazione naturale di ciò che ha scritto precedentemente e l'anticipo di ciò che poi scriverà.
Chì ha letto L'Antiquario e Il Professore si sarà accorto dell'attenzione che io rivolgo al carattere evocativo della parola e alla natura poetica che ho sempre espresso anche in una semplice descrizione di un luogo, di un fatto o di un personaggio.
Tra l'altro l'ultima frase del libro, preannunciando questo lavoro che presento stasera, testualmente dice:
“[...]l'antiquario si sentì come Mercurio, come il messaggero di Zeus che viaggia sulla leggerezza dei suoi sandali alati e, da quel momento in poi, incominciò a viaggiare sulle ali della leggerezza verso una magnifica terra.
Un mondo senza alcun confine, la poesia.”
Quella frase, già quando la scrissi e chiusi quel romanzo, fu come una sorta di appuntamento con la poesia, prima con me stesso e poi con chi potevo condividere i miei scritti.
In quel periodo, 2 anni fa circa, per pubblicizzare il mio libro, iniziai ad usare molto internet, i network, ovvero la interazione diretta con le persone che erano in rete.
Due anni fa, circa, nelle sere di Agosto, incominciai a voler dare una forma ad alcune mie immagini che da sempre mi sono appartenute, con le parole. 
Incominciai a scrivere piccoli testi e mentre scrivevo non facevo che riflettere sui mutamenti del linguaggio in atto e il senso che avrebbe avuto scrivere poesie se poi il linguaggio usato non corrispondeva alla radicale mutazione in atto che avvertivo nel modo di comunicare della gente.
Mi immersi nei social network per comprendere  le potenzialità espressive di questa nuova forma di linguaggio che stava contagiando a macchia d'olio milioni di persone in tutto il mondo, per capire in che modo quelle immagini che volevo tradurre in parole potessero essere in sintonia con queste nuove potenzialità espressive.

Usai una tecnica molto semplice.
Scorrevo la mia home page osservando attentamente come i miei contatti comunicavano tra loro e con se stessi, pubblicando video, canzoni, fotografie, aforismi, notizie di attualità, battute, messaggi a volte allegri spensierati altre volte che esprimevano un'atavica solitudine in chi li pubblicava e qundi una disperata richiesta di essere ascoltati. Erano tutti messaggi come chiusi in bottiglie e lanciati nel mare, con la speranza  di essere raccolti da qualcuno.
Quelle immagini le trasformavo in piccoli testi, costruendo dei versi. Dopo individuavo una parola chiave che potesse in un certo modo sintetizzare l'immagine complessiva del testo. Pubblicavo quella parola sulla mia pagina facebook e chiedendo ai miei contatti in linea quale immagine veniva nella mente leggendola. Fin dalla prima volta decine e decine di contatti rispondevano inaspettatamente a quella mia richiesta, divertiti e appassionati. Quelle frasi cparoler, o versi che loro scrivevano come risposta, io le trasformavo, operando un esercizio retorico, attraverso l'individuazione di metafore, di figure retoriche o sinonimi o contrari, per inserirlne alcune perfettamente nel testo che avevo già preparato. Per poi pubblicare il testo completo e far frutto dei commenti per scrivere altro ancora.  Fu l'inizio del gioco della parola, che durò qualche mese.
Era come una miniera di immagini la mia homepage.


In quelle immagini pubblicate che scorrevano e che inesorabilmente sparivano affondando sotto il bordo inferiore del video, scomparendo, scoprii un nuovo mondo.
Un mondo fatto di linguaggi per me inedito nuovo, complesso, caratterizzato da una inedita leggerezza comunicativa, da una straordinaria visibilità, da una incredibile rapidità nella diffusione,  era una eccezionale molteplicità di stimoli che,  anche se poteva sembrare un caotico mondo conteneva in sé una idea di ordine, di esattezza.
Leggerezza, Visibilità, Rapidità, Molteplicità, Esattezza.  Era il testamento di Italo Calvino.
Erano i valori della letteratura individuati da Calvino alla fine del secolo scorso, da salvare e da portare nel millennio in cui viviamo oggi, nella cultura postmoderna.
Era il mondo nel quale apparteneva quel linguaggio con  il quale volevo interagire, con cui strutturare i miei scritti e comunicare, in tempo reale con i contatti in linea. Era per me il nuovo linguaggio al quale doveva far riferimento la poesia. 
Partendo dal presupposto, del quale sono fermamente convinto, che la poesia, come l'arte in genere, è lo strumento che ci permette di andare oltre i confini del sensibile e darci una rappresentazione del mondo oltre ciò che ci appare come scontato, io adesso sono convinto che  la poesia può riacquistare, con questo nuovo modo di comunicare, un ruolo che sembra essersi perso da qualche decina di anni assolvendo ad un importante dovere morale: quello di rivelare ciò che agli altri non appare immediatamente  visibile. In particolare rivelare la bellezza.

Mentre scrivevo e stavo in contatto con gli atri utenti on-line con il gioco della parola mi arrivavano tante poesie di tante persone che si definivano poeti. Ne avrò lette migliaia. E nel frattempo continuavo a scorrere la home page leggendo aforismi, note, ascoltando musiche, guardando fotografie.
Un giorno mi capitò sotto gli occhi un link. Era un video. Un  video crudele. Raccontava una storia di Bambini in Cambogia usati per soddisfare le esigenze sessuali di adulti.
Ne rimasi sconvolto.
Quelle “poesie” dei miei contatti e anche le mie, dalla visione di quel video in poi,  le sentivo inutili, leggevo, rileggevo e vedevo solo parole vuote.
Mi vedevo io, e tutta quella gente che sapeva usare la parola, inutile che non assolvevamo a quel dovere morale di chi ha uno strumento tra le mani per poter rivelare e piuttosto che rivelare con la parola tendevamo a nascondere, a creare un momento “altro” per non pensare.
Un poeta, un vero poeta, dovrebbe invece descirivere tanto ciò che è da sempre dentro di sé, quanto ciò che dentro di sé viene continuamente modificato da ciò che arriva dal mondo esterno.
In Particolare un poeta dovrebbe essre colui che avverte chiaramente l'attraversamento nel proprio essere di quella potente energia che con la sua forza ascensionale, vincendo la forza di gravità partendo dal centro della terra, si proietta in ogni punto dell'universo: la bellezza, che come un urlo  deve farci sentire e vedere  le ingiustizie e le brutture del mondo.

Invecel Leggevo la grande inutilità della parola  in quella cosiddetta poesia.
Dopo quel video mi fermai con il gioco della parola.
Incominciai a riflettere sulla potenza inespressa negli ultimi decenni della parola nella poesia,  e di tutti i fatti tragici che accadevano nel mondo. Pensai alla bellezza, come disse Dostoevskij, l'unica forza che ci poteva salvare, e invece chi fa poesia oggi sembra non accorgersene, soffocandola in inutili parole.
In quei pochi minuti della durata di quel video, guardando quei bellissimi occhi neri e lucidi di quei bambini, la cui infazia è stata distrutta dalla follia perversa degli adulti, mi sentìì di quei delitti e di tutti i delitti del mondo complice:

Parole nude, affiorono
dal profondo, inutili.
Le farfalle volano
cercando cristalli nei sogni,
le fiamme nella foresta
bruciano ali e tempi.
Barbari, mercenari,
cannibali, preti e profeti.

Forma assente, vuoto,
nella mente dilaga follia.
Silenzi assordanti
sfondano i timpani,
campane di bronzo fuso dal fuoco
dell'inutile guerra.
Nella mente specchi,
pensieri brucianti di rabbie.

Poeta, taci?
tu non puoi! la tua è Poesia.
Illusione e paura, mia,
riflessi muti su pareti di gomma.
L'orrore invade il mondo;
potenti, bellezze, orchi,
del pudore divoratori.
Striscia, tranquilla, languida,
la parola vestita.

Piccoli fiori senza più petali.
Fragile gazzella, pelle consumata
dagli sguardi assetati
di affamati leoni.
Il mondo guarda,
il mondo sa,
è complice e tace.
Vendute,
le vendono morte nell'anima.
Ed io, poeta?
No, Complice!
La forza della parola
La parola. Che forza la parola potrebbe e dovrebbe avere.
Con la parola in questo libro ci ho giocato, ci ho sofferto, ho trovato sfumature, collegamenti, costruito figure retoriche, metafore per parlare e raccontare di fatti terribili come di sensazioni docissime.
Con la parola ho cercato di dare vita a realtà che partendo da alcune mie esperienze sono diventate autonome, vivendo di vita propria indipendentemente da me,  in cui centinaia di miei contatti si riconoscevano o riconoscevano semplicemente qualche cosa di loro.
I miei contatti,  leggendo on line i miei piccoli scritti  nati col gioco della parola, e che ora fanno parte di questa raccolta IL Costruttore di Illusioni, a detta di tanti, avevano l'impressione di essersi affacciati sulla mia anima.
Mi rivolgevano tante domende riconducibili tutte ad una unica sola domanda:
ma tu cos'hai dentro?

Ornella Iuorio
La stessa domanda che mi rivolgevano nello stesso tempo i lettori dell'antiquario eil professore. Allora decisi di scrive un piccolo scritto che mi doveva servire da un lato per le presentazioni del libro,  dall'altro doveva rispondere a quella domanda dei contatti on line.
Feci un esercizio retorico operando una sorta di introspezione psicologica cercando di isolare alcuni punti in comune tra me e i personaggi del libro e tutti quei piccoli scritti e poesie che avevo prodotto fino a quel momento.
Usai per la prima volta la lingua napoletana, anche perché qullo scritto partiva da riferimenti fortemente autobiografici e siccome io sono profondamente napoletano e il mio linguaggio è profondamente napoletano quel testo non poteva che essere scritto  che in napoletano.
Scrissi: 














Chell'cà teng'à dint'

À dint'à me io nun teng'nient.
Nient'é speciale.
Niènt'é cchiù e quanto tu putiss' ammaginar'é mé.
Dint'é mé teng'solo chéllà cà'tenan à'dinto tutt'quant.
À Vita!
Chéllà passata e chellà c'addà ancora venì.

À dint' tengo
ò 'bben'è ò male.
O' Fuoco e l'acqua
Sì!
Puzzulente e prufumato.
O' mare!
L'addore de' limone.

Teng pur'è facce dà gente.
Comm'à chillu cuoll ruoss jè ricchini e donnà Giusuppina à Pezzecàt.
Teng pure à luce
cà sciuléa coppè é mur e chillu vico à do sò nato.
O' vico Lammataro',
nu' vico stritt'è luongo e vasci'à Sanità.


A dint' teng chella cèra.
Era e don' Michele Savarese!
n'omm ca faticava che suonn.
Scennev tutt' é juorn cu chella machina fotografica.
Diceva ca chella che le passava sott'all'uocchie era a Vita!
Era a Vita! Diceva,
e nun' za puteva fa passà a cossì!
S'era mis n'capa che la doveva fermare!
È dall, è dall, ca nu juorn, abbasci'à litoranea,
annanz'à chelli sei criatur,
a vita soja, ò veramente se fermai.

A' dint a me teng' e Mane.
E mane'é patem'!
E' Mane, e chill'omm piccirill,
ca, da' matin'a' sera, steva chìato 'ncopp'ò scann'.
È che se fidav'é fà, cu chellì mane:
'ntagliav ò legno!
A me, à quent'er'criaturo, mi piacev sempe dé guardà.
Mentre faticav', me parlav',
sbruvignanem tutt'é mister' dò polzo e dò scarpiéll .
Ah! Chellì'man, che bellì'man!
Nu brutt'juòrne nà fetent'é malatìa cé ll'hà ciungàt!

À dint'à mè teng'à Pàur!
Chella nuttata! He! é chi si scord'cchiù!

Tenev'à pàur'è rommì'dà sulo dinto ò lettin.
Pàtemo m'aizaje 'ppe ll'arià
dicett' cà si nu'me passav', m'jettav' accopp'àbbascio.
Mamma mia chella'nuttat!
Me facett'luvà o' viziò e fujì dint'ò lietto suoje.
Ch'paur  ca me mettett!
Nunn'ò guardaje dint'all'uocchié pé 'nà semmana sana.

À dint' teng'ò primm'ammor.
Ma è natur!
(Mò vuless proprio vedè chi è ca miezz a vuje nunn'o ten cchiù)
Còsa comune!
A me,
senz'à fà mal'à nisciun, ogni tant, quant'men mé l'aspett,
sàglie a galla!
Comm'è l'uocchije dé figljè meje o chill'dà mammà'llor.
L'uocchie da' femmena cà mò voglio tanto ben'assaje!

À verità è ca dint é me ce sta nà strana'pucundria.

À viv'è à cerc rerenn'miez a 'ggentè! E guarde dint'alluocchj'è...
(zittu, zitt')
...nun mé faccio mai fujì nient.

À dint'à mé c'è stann cose comme 'ttante,
comun'à tuttì.
Ma, ch'àrraccontàt, cu'à parola giusta,
paran'cose prezios'è rar. 


sabato 11 febbraio 2012

Intervento di presentazione ODI ET AMO VILLA BRUNO San Giorgio A Cremano


Intervento di presentazione ODI ET AMO




“Odi et amo: contrasti alle falde del Vesuvio.
”progetto prodotto da: Roberta Colmayer, Flavia Cozzolino, Marcella Morvillo 

Presentazione e selezione delle fotografie: Mario Scippa

Luogo: Villa Bruno Piano Nobile

Mostra collettiva: Daniela Capece, Roberta Colmayer, Matilde Falcone, Corrado Guerrera, Gennaro Parlato, Oscar Travino.

Mostra personale "N'atu Munn" di Antonio Coppola.








Sono molto felice di essere stato reso partecipe da Roberta e Flavia in questa loro avventura.
Ho conosciuto Roberta Colmayer tramite mia moglie che mi ha parlato di questa ragazza che spontaneamente e senza alcun fine che non la solidarietà vera, silenziosamente aiuta una casa famiglia abitata da tanti bambini di colore, a Castelvolturno, un gesto di grande generosità che le fa veramente onore.Quando mia moglie mi ha detto che doveva, insieme a Flavia Cozzolino, preparare una mostra di fotografie, e se volevo darle una mano, non ci ho pensato due volte. Primo perché la fotografia è uno dei linguaggi espressivi che più mi appartiene, secondo perché conoscendo queste due ragazze, ho visto in loro qualcosa che ormai sta diventando una cosa rara: la Passione.
E nonostante i miei tanti impegni, a titolo del tutto gratuito ho curato insieme a loro la selezione delle immagini per questa mostra cercando di dare alla scelta delle foto un senso e il carattere di un racconto. E non solo, ho proposto loro di accostare alla collettiva la personale di un fotografo professionista Antonio Coppola. 
Tra poco vi spiego perché.


Odi et Amo
Giovani fotografi che si trovano ad affrontare un tema assai difficile : il sentimento di odio e amore che si vive per il nostro territorio.
Difficile perché è uno di quei classici luoghi comuni ormai codificato e che chi si interessa di comunicazione sa bene che è difficile uscirne fuori, andare oltre dall'immagine stereotipata che ormai da secoli viene rappresentata la terra napoletana.









Il luogo comune, lo stereotipo. Amore e Odio.
bene male, sotto sopra, luce buio, fuoco acqua.
Sono i luoghi comuni che appartengono al territorio della rappresentazione di Napoli.
Non è facile rappresentare questa città in questo territorio di confine tra lo stereotipo e l'immagine poetica.
Io sono convinto che la fotografia, se usata come la poesia, è uno strumento che ci può far andare oltre questo confine, oltre il confine di ciò che ci appare scontato.
Oggi noi viviamo immersi in un mondo di immagini e tutto ciò che un fotografo va a fotografare del mondo sembra essere una ricerca di una fotografia già vista da qualche parte e non l'isolamento di un frammento di spazio e di tempo dal continuo divenire, un personale, unico, intimo, e insostituibile frammento di spazio e di tempo.
A volte fotografando, ovvero quando isoli un frammento di spazio e di tempo, quando questo frammento si fonde con le immagini sedimentate nell'anima e nella mente, esce fuori un altro mondo. "N'atu Munn". Che è il titolo della mostra di Antonio Coppola che ho proposto alle organizzatrici come evento collaterale a Odi et Amo. N'atu Munn, immagini pulite, semplici, senza alcun particolare in più, che raccontano da un lato un frammento della zona di margine di Napoli, la zona Est, l'ex zona industriale, che sta tra questo comune e il centro di Napoli, una zona di Margine di confine dove il sentimento di odio e amore si esercita fisicamente in ognuno di noi semplicemente attraversandola; dall'altro lato, per quanto prima dicevo sul rapporto poesia-fotografia, se la poesia è anima fatta verbo queste foto raccontano anche un frammento della sua anima.
Con la sua fotografia Coppola ci porta nella terra di confine prima della sua anima, e poi della sua città.
Le terre di confine. Sono quelle più affascinanti, quelle più eterogenee, più misteriose. Le terre di confine, sono il luogo del non luogo, dove tutto può esserci e , spesso, niente c'è!
E' li che si incontrano i sogni, le paure, i desideri, gli amori.
E' lì che ci si sente soli, ma consapevoli della forza e della debolezza della nostra anima, della consapevolezza di ciò che c'è alle spalle e l'incoscienza che spinge i nostri passi ad andare oltre senza sapere veramente cosa c'è oltre quel non-luogo.
La zona di confine, nello spazio esistenziale, è il limite estremo tra noi e l'universo......e l'universo può essere abitato da tante cose, come dal nulla assoluto... non lo sappiamo e questo ci affascina.

Dal primo momento che ho avuto modo di vedere le immagini dei fotografi che partecipavano alla collettiva ho subito pensato di accostarle a 


quelle di Antonio Coppola.
Mentre arrivavano queste prime immagini, la prima impressione che ho avuto, facendo una rapida carrellata, è stata quella della freschezza, della semplice e naturale voglia di comunicare qualcosa che non sia uno stereotipo e neanche una elucubrazione mentale intorno ad astratti e incomprensibili concetti che spesso girano intorno al mondo della fotografia e delle arti visive in genere.

Ho visto la semplicità, una serie di immagini realizzate senza alcuna sofisticazione, senza alcun filtro pseudo intellettuale, e spesso la semplicità rivela tante cose in modo diretto e spontaneo.
Tra le tante cose che la fotografia come la poesia può rivelare è la Bellezza.
La Bellezza Salverà il Mondo, disse uno dei capisaldi della letteratura russa del “900” , Dostoevskij ne <<L'idiota>>.

La Bellezza.
Ma per salvare il mondo la bellezza deve essere per forza di cose prima rivelata e poi salvaguardata.
Il poeta e scrittore contemporaneo, il napoletano Erri De Luca, ci ha regalato una immagine affascinante del concetto di Bellezza.
Egli sostiene che la bellezza è una forza naturale di carattere ascensionale, che partendo dal centro della terra, attraversandoci si proietta nell'universo.
Io aggiungo che il riconoscimento dell'attraversamento nella nostra vita di questa forza che vince il peso della gravità può esserci solo nella semplicità della espressione dei rapporti umani e non nella spettacolarità, nella silenziosa quotidianità e non nell'effimero, come ad esempio chi fa spontaneamente azioni di solidarietà, chi esce la mattina con la sua macchina fotografica da solo e senza neanche sapere che cosa fotograferà, e riconosce e rivela la bellezza allo stesso modo di chi mettendo insieme delle parole costruisce una musica che ci fa vedere la realtà da un altro punto di vista.
Ecco la bellezza vera, quella forza che vince la gravità, viene rivelata in atteggiamenti del genere, 365 giorni all'anno e non in atteggiamenti effimeri e spettacolari dei quali, da circa un ventennio, siamo stati abituati a vivere come manifestazione di bellezza ma che non sono altro che effetti di una cultura malata.






Bene, detto questo e concludo, io auguro ai fotografi Daniela Capece, Roberta Colmayer, Matilde Falcone, Corrado Guerrera, Gennaro Parlato, Oscar Travino, di mantenere questa freschezza e questa semplicità nelle loro immagini, che non è un difetto ma un grande pregio, e di continuare a fotografare sempre senza perdere di vista questi due fondamentali valori che sono i più alti, a mio avviso, nella fotografia, che non dimentichiamoci mai che è scrittura fatta con la luce.




M.S.