martedì 6 novembre 2012

RESEDA fotografie di Angelo Casteltrione a cura di Mario Scippa


La reseda è una pianta erbacea della famiglia delle Resedacee (Reseda lutea), con infiorescenze a grappolo di colore giallo-verdognolo, molto profumate

La reseda è originaria dal Nord Africa e dall'Europa meridionale. Ha i fiori che crescono a grappolo poco appariscenti, di colore variabile a seconda delle specie dal bianco al giallo, dall'arancio al verde, ed è coltivata per il suo intenso profumo e viene largamente utilizzata per la cosmesi e la preparazione di profumi.
Le foglie sono alterne, disposte a formare una rosetta alla base del fusto.
Il nome deriva dal latino resedare = calmare, in riferimento alle proprietà medicinali attribuitele.


Nominando  Reseda si pensa alla calma, alla bellezza, al Nord Africa, all' Europa meridionale al Mediterraneo.
Gli stessi elementi semantici intorno cui  ruota tutta la poetica di Angelo Casteltrione.

Il suo entusiasmo, la sua generosità, il suo essere "mediterraneo", traspaiono prima dal suo sorriso e poi dalla sua fotografia. Immagini sempre semplici, mai artefatte, mai gratuitamente spettacolari. Il suo è sempre un linguaggio diretto e mai che ricalca immagini e linguaggi visti.
Una bellezza che è volutamente poco appariscente, un po' nascosta e quindi tutta da scoprire.
Come nel linguaggi dei fiori ci dice la Reseda.

Cum Finis, insieme sul limite, in un territorio di Margine, dicemmo all'inaugurazione della rassegna dei 13 fotografi che ho invitato.

Con Angelo Casteltrione siamo sempre sul limite, sul confine del sensibile, di ciò che ci appare scontato.
Il fotografo, l'artista, ci accompagna con le sue immagini in un territorio dove la bellezza traspare nelle cose più semplici, quasi scontate ai nostri occhi.
È  ricercata con sensibilità sempre nelle cose  poco appariscente, in punta dei piedi, in silezio,  nelle atmosfere più semplici.
Fare poesia, disse qualcuno, è far apparire straordinario ciò che è normale e scontato.

Casteltrione scrive poesia con la luce. 

È poesia lo squarcio di muro che racconta, con la stratificazione dei colori naturali e crudi della pietra  bruciata dal fuoco,  la storia di Napoli e la bellezza della natura selvaggia che lo divora. Una immagine di  ruskiniana memoria.
La denuncia del degrado , spesso presente nelle sue immagini, si allontana dai canoni linguistici del fotogionalismo  entrando a pieno titolo nella ricerca pura della bellazza della forma nella dimensione della poesia.
Come nel  riflesso di una pozzanghera che si crea in una strada dissestata,  la fotografia che ha proposto alla presentazione della rassegna durante la collettiva Cum Finis.  In quel riflesso si legge l'armonia di una architettura settecentesca. La cruda realtà vista e proposta attraverso il suo riflesso, come ci ha insegnato Calvino quando parlava della leggerezza.
Quella  serie di ombrelli su un prato che  diventa  chiara citazione alla pittura degli artisti napoletani della scuola di Resina, dove   forse l'autore vuole ricordarci delle sue radici culturali che affondano nella poetica dei vari autori che partendo dalla pittura dal vero hanno avuto contatto con gli impressionisti francesi a Parigi: Ragione, De Nittis o i Dal Bono, la scuola di Resina.
Angelo Casteltrione Pesci


L'apoteosi che lega la fotografia di Casteltrione al linguaggio complesso e stratificato dell'arte e in particolare della pittura napoletana è la natura morta con pesci.
In questa foto Angelo fa  un omaggio al periodo più forte della pittura napoletana, il periodo barocco del seicento. È una chiara  citazione di un grande artista  napoletano protagonista assoluto di quel periodo storico-artistico, Giuseppe Recco.
E' incredibile come la gamma cromatica nell'immagine fotografica sia analoga quella di un quadro in particolare del maestro baroccoo. La composizione: nel quadro dell'artista barocco il gruppo di pesci è leggermente inclinato dall'alto a sinistra fino all'anguilla in basso a desta; nella foto l'anguilla diventa una corda bagnata. Nelle due immagini, l'anguilla in Recco, la corda in Casteltrione,  sono le linee generatrici e ordinatrici della composizione armomica ed equilibrata nella forma e nel colore che racconta un momentoi di normale quotidianietà che è sempre esistito a Napoli, l'arrivo della paranza. Che bellezza.
Giuseppe Recco Pesci
La bellezza tante volte è proprio là, sotto i nostri occhi. Là, dove ci sembra tutto scontato .
Ce lo dice quel  fiore: LA RESEDA

Mario Scippa

Appuntamento il 15 Novembre ore 18.30 al SALOTTO LETTERARIO ANTICHITA' SCIPPA a Napoli, in via Vannella Gaetani 21,  info 0817642922

sabato 3 novembre 2012

se vuoi presentare un libro da noi contattaci


Sandra Milo e Gabriella Di Luzio il 31 ottobre 2012 al Salotto Letterario Antichità Scippa



Buonasera a tutti e benvenuti al Salotto letterario Antichità Scippa.
Ringrazio innanzitutto Silvana Vajo e il Maestro Carlo Molinelli.

Stasera parleremo del tempo della vita scadenzato dalla madre di tutte le emozioni. Di quella emozione che ci fa sentire tanto leggeri, tali da apparire agli occhi degli altri superficiali, quanto, nello stesso tempo, ci fa sentire e vivere tutto il peso della nostra esistenza e che tante volte è il vero orologio della nostra vita che scadenza il tempo con la sua forza dirompente nella nostra esistenza: L'amore.

Ne parleremo presentando il libro Rapsodia degli amori perduti della eclettica scrittrice, attrice, di cinema e di teatro, Gabriella Di Luzio, insieme al nostro amico il giornalista Giuseppe Giorgio, e insieme a una donna che non ha bisogno di presentazioni particolari, che con l'immagine della leggerezza ha costruito la sua personalità sia di donna che di attrice, tale che il suo personaggio è identificato nell'immaginario collettivo come l'emblema del frivolo e del leggero: Sandra Milo.


Sandra Milo, Silvana Vajo, Gabriella Di Luzio


Leggerezza. Quando inaugurammo questo spazio dedicammo una serata al tema della leggerezza interpretando “l'idea poetica come un momento di sottrazione di peso alle cose e agli eventi".
Noi del salotto, siamo convinti che la leggerezza non è mai superficialità ma è un vivere la vita fino in fondo assaporandone tutte le sfumature e quindi sentendo il peso della nostra esistenza che non fa mai scivolare il tempo ma ce lo fa vivere in ogni suo istante.


È difficile de-scrivere l’amore.
È difficile perché si vuole rappresentare con una forma conclusa una cosa che vive in uno spazio indefinito senza alcun tempo, in uno spazio limitato qualcosa che è illimitato, misurare con il tempo della scrittura il tempo di qualcosa di impalpabile ed estremamente soggettivo, ma allo stesso tempo comune a tutti e che vive nell’eternità.
E' difficile perché si deve essere capaci di dare una forma leggibile all’emozione madre di tutte le emozioni.
Forse è vero quando si dice che il mistero dell’amore è più grande del mistero della morte.
La morte la sappiamo raccontare tutti, l’amore no, per raccontare l’amore si deve essere artisti.

Gabriella Di Luzio nel suo libro Rapsodia degli amori perduti, racconta l’amore da artista, ovvero da chi ha tra le mani quello strumento che ci permette di andare oltre i confini del sensibile, in quel territorio libero dove è possibile rintracciare la bellezza e vivere con leggerezza.

I confini del sensibile, un territorio di margine.
Tema intorno al quale stiamo lavorando, qui al salotto, da almeno due anni, con la fotografia, con la pittura con la poesia, con i libri che abbiamo presentato finora. E quel territorio di margine lo abbiamo individuato nei vari libri presentati nella dimensione del ritorno a Napoli per tentare di raccontare, mettendo insieme questi frammenti, da tanti punti di vista diversi dei personaggi dei vari libri che pur non vivendo a Napoli descrivono la città in un loro ritorno in città. Come lo sguardo di un ex terrorista napoletano degli anni 70' che ritorna a Napoli dopo una assenza di 30 anni dalla città nel libro di Attilio Belli Fuoco ai Quartieri Spagnoli, o quello di uno straniero inglese che ritorna nei luoghi delle sue origini nei campi Flegrei, nel libro di Francesco Escalona Giallo Tufo, nello sguardo di un giornalista napoletano, che lavora nel nord Italia, e che decide di accettare un posto di insegnante in una scuola della periferia Est di Napoli, in una zona degradata dal punto di vista ambientale e sociale, nel libro Fiction di Enza Alfano, e in tanti altri libri che abbiamo presentato in questi mesi qua da noi.
In questo quadro di presentazioni stasera anche Rapsodia degli amori perduti, è per me un ulteriore punto di vista particolare sulla città in un ritorno a Napoli.
L'autrice ci fa vivere, oltre al tema portante del libro, una narrazione della città da un punto di vista spesso snobbato dall'ultimo intellettualismo napoletano ma che dal nostro modo di vivere e vedere Napoli, è una immagine da cui non si può prescindere nella narrazione della città.
L'immagine disincantata della cartolina, quasi dello stereotipo, del luogo comune.
Ecco noi siamo convinti, e lo dicemmo anche quando presentammo il libro di Giuseppe Giorgio, Partenope in pizzeria, dove si parla del luogo comune per eccellenza di Napoli, la pizza, che lo stereotipo, la cartolina di Napoli è come se fosse una cornice di un'opera d'arte iniziata più di duemila anni fa e che ancora deve essere conclusa.
Lo stereotipo è per noi il vero confine di Napoli, è quella cosa che è immediatamente riconducibile nell'immaginario mondiale appena si pronuncia la parola Napoli.
Di Luzio nel libro quando parla di Napoli, dipinge degli acquerelli freschissimi, con una disinvoltura nell'uso del linguaggio che solo autori del calibro di Raffaele la Capria sono stati capace di dipingere con le parole. Per la sua capacità, naturale di usare il linguaggio con leggerezza, In alcune pagine del libro sembrava di rileggere qualcosa che ho avuto modo di leggere solo nell'armonia perduta o una bella giornata di questo grande autore napoletano.

Il libro
Il tempo del libro è cadenzato dalla forza dall’Eros che vince Thanatos, la forza ascendente, leggera, che vince la forza di gravità che inesorabilmente attrae ogni cosa materiale e immateriale verso il centro della Terra e che fa sentire veramente viva e piena la nostra esistenza.
Il tempo di questo libro è cadenzato dal tempo dell’amore nella vita di una donna che vive la sua vita intensamente, senza farsi scivolare addosso il tempo convenzionale, quello dell'orologio del calendario, per intenderci, che inesorabilmente scorre.
L’autrice ci tiene sempre a dire che non è un libro autobiografico. E’ la verità. Anche se Mara, la protagonista del libro, per quel poco che ho avuto modo di conoscere Gabriella, posso dire, senza ombra di dubbio, che le somiglia molto.
Ma se è autobiografico o non un libro è un particolare insignificante. Io sono convinto che ogni scrittore che ha una urgenza narrativa, qualsiasi sia la storia che si inventa, non fa altro che narrare se stesso: ciò che è stato, ciò che sarebbe potuto essere stato, ciò che non è mai stato, ciò che sarà, ciò che ha sognato o desiderato di essere.
Insomma, ogni scrittore non fa altro che raccontare sempre se stesso visto da angolazioni sempre diverse, così come ha fatto Gabriella Di Luzio, che narra la vita di Mara scegliendo come struttura portante di quella vita alcuni momenti, punti fermi intorno ai quali quella esistenza costruisce nel tempo la sua ricca e sensibile personalità: i momenti della vita segnati dall’amore. Quegli attimi squisiti che la vita ci regala.


Leggendo questo libro mi è venuto in mente un famoso aforisma di un famosissimo autore e da questo aforisma, come mio solito, ho scritto dei versi, li ho scritti anche se non sono abituato a farlo, in napoletano, Stasera, a conclusione di questa serata, li dedico al libro e a Gabriella, perché le sue parole sono diventate uno stimolo fondamentale per la scrittura di questi miei umili versi e una apertura verso nuove esperienze che che sicuramente farò con la mia lingua madre un libro che vi consiglio di leggere .
"la vita altro non è che un brutto quarto d'ora
composto da attimi squisiti"
Oscar Wilde

Dinto 'a nu quart' d'ora.

Nu quart’ d'ora, ah, si putesse sta’ cu te!
A mana mia cercass' ‘a toia. Strett' a mme.
Nu poco ‘e tiempo sulamente, te tenesse,
tutt' ‘o tiempo ca mai fernesse.
Nu quart' d'ora: na vita, nu mumento.
Cu ll'uocchie dint’ all'uocchie. ‘O silenzio è
Musica! Abballassemo stritte tutt' 'a nottata.
È nu quart' d'ora sulamente. Sulo nu mumento
ca pe' semp
pe' sempe
se fermass’ ‘o tiempo!
O rummore d’ ‘o mare. Nu suonno e tu cu me.
Mantieneme cu nu pensiero. Cu ll'uocchie,
cu ‘e mmane, senza na parola, na voce sient' ‘e parlà.
È a voce d’ ‘a pelle, d’ ‘o sango, ‘e ll'ammore!
Dinto 'a nu quart’ d'ora, ah! Sì! Io ‘o ssaccio,
o ssaccio: è ll'ammore,
c' 'allucca e canta, senza 'e te
dinto ‘o silenzio d’ ‘a notte.
m.s.

Peppe Giorgio, Mario Scippa, Mafalda Casertano, Sandra Milo, Gabriella Di Luzio, Luisa Scippa