mercoledì 31 dicembre 2014

E stanotte voglio fare un brindisi.



























Alzo il bicchiere a chi è felice,
a chi è in cerca della felicità,
a chi ha perso la felicità,
a chi non ha mai assaporato la felicità.
Stanotte alzo il bicchiere a chi vede il proprio futuro,
a chi credeva di vedere il proprio futuro
a chi oggi deve inventarsi un futuro,
a chi lo sogna ancora un futuro.
Stanotte alzo il bicchiere con il pensiero che naviga sulle onde del mare
che accarezza i sogni di quei ragazzi e ragazze,
di quelle donne e uomini e bambini
che lasciano la propria terra inseguendo un sogno,
alzo il bicchiere a questi nuovi eroi di questo millennio
e ai loro sogni che annegano in fondo al mare mediterraneo.
Stanotte alzo il bicchiere alle speranze, ai desideri, ai sogni
di cittadine e cittadini che stanno lottando nei palazzi del potere.
Alzo il bicchiere alle tante attività commerciali, costrette a chiudere.
Stanotte alzo il bicchiere a chi in quest'anno si è innamorato.
L'amore ci fa misurare le cose, tutte le cose, con un metro diverso:
il metro del sentimento.
Stanotte alzo il bicchiere alle mie figlie
e ai loro occhi meravigliati
davanti al bianco velo della neve di stamattina.
Alzo il bicchiere a tutti gli amori finiti
e a quelli che sono appena iniziati.
Alzo il bicchiere alla salute di quella grassa donna,
sola, che vive sotto la stazione della circumvesuviana.
All'amico Lucio, all'amico Alfonso e a tutti gli altri amici miei dell'adolescenza,
che dopo aver vissuto l'inferno quaggiù,
ormai lassù non avranno più bisogno di un ago
per vedere il paradiso.
Alzo il bicchiere a chi mi ha amato, a chi ho amato,
a chi mi amerà e a chi amerò.
Alzo il bicchiere alle cattiverie,
all'ingordigia, all'egoismo, all'insulto gratuito,
perché anche queste manifestazioni fanno parte dell'essere umano.
Alzo il bicchiere al nuovo anno, che è solo una convenzione.
Il nuovo anno è già passato.
Buon Anno a tutti.

M.S.
© copyright2014

mercoledì 24 dicembre 2014

NATALE: SPRECO DI DOLCI PAROLE

Tutti buoni, tutti bravi, parole dolci: è Natale.
Così come in cucina c'è lo spreco, l'esagerazione, di zucchero, miele appiccicoso, grassi, carboidrati, bollicine di vini e spumanti, anche le parole si adeguano.
Diventano grasse, mielose, appiccicose, esageratamente buone. In questi giorni sono coperte come alberi di natale , con tanti colori scintillanti, stelline colorate. Parole colorate, zuccherose, appiccicose, mielose. Dolci quasi da far schifo.
Parole nauseanti, tanto sono dolci e tante volte false, come alberi di plastica addobbati per illudere i bambini e chi per un giorno, anzi una notte, anzi poche ore, vuole far finta di essere bambino.
Non fate sprechi. Siamo in periodo di crisi, non solo economica, ma anche di dolcezza.
Vi prego, se potete non solo non fate sprechi di bene materiale, ma non sprecate colori per le parole.
Quei colori e odori dolci che sprecate in questi giorni per le parole, rendendole pesanti e inutilmente appiccicose, potrebbero servirvi tutto l'anno.
Le parole dolci servono, servono, quanto meno ve l'aspettate avete bisogno di una parola dolce, non le sprecate tutte oggi.
BuonGiorno a tutti
M.S.

lunedì 24 novembre 2014

SULL'EDUCAZIONE ALLA BRUTTEZZA


I politici hanno più paura dell'arte che delle armi.
Perché l'immaginazione degli artisti è immaginazione produttiva e non meramente riproduttiva.
L'arte reinventa ogni volta il mondo, il linguaggio, la cultura.
L'arte vive di emozione. L'emozione artistica è emozione creativa.
L'arte è il momento in cui si vive veramente, con tutti i sensi, la vita di una forma che non è solo una esistenza statica, ma anche e sopratutto la manifestazione di quella forza dinamica che dal momento in cui è creata una forma ne viene attraversa, nello stesso tempo, colui che l'ha creata e colui che poi la vivrà.
L'arte è quella forza dinamica dal potere salvifico che è goduta con tutti i sensi: la bellezza. Un potere salvifico naturale che ci permette di cambiare ogni volta il nostro punto di vista sul mondo.
Il linguaggio dell'arte è stato sempre tenuto sotto controllo dai poteri, da ogni potere. Semplicemente perché nell'arte non soltanto l'orizzonte della nostra esperienza si allarga, ma la nostra prospettiva, il nostro quadro sensoriale della realtà mutano.
L'artista ci fa vedere la realtà con una nuova luce.
Dopo un'esperienza che viviamo con un'opera d'arte, o dopo aver vissuto un'esperienza immersi nella natura, che è l'opera d'arte per eccellenza, siamo arricchiti di un valore aggiunto: un frammento di bellezza in più fa parte del nostro essere, facendoci vedere il mondo leggermente spostati dal punto in cui eravamo prima.
E la diversità spaventa. In particolare a chi detiene il potere, che usa i suoi strumenti di comunicazione di massa, come la televisione di Stato, per educare i cittadini a qualcosa che arte non è, ma omologazione culturale e, peggio, educazione alla "bruttezza".


tratto da M.S.
in questo link puoi leggere le sinossi dei miei libri ed eventualmente ordinarli http://www.lulu.com/spotlight/scippamario

venerdì 14 novembre 2014

POETI O COMPLICI



Delle poesie resterà solo qualcosa di vago un trasparente fantasma nella mente, leggero.
Delle poesie resterà poco, un seme di bellezza che per un attimo invade la nostra esistenza.
Un poeta ha il dovere morale di seminare bellezza con le sue parole,
se non lo fa è COMPLICE dell'orrore che invade il mondo.

Complice.
Parole nude, affiorano dal profondo, inutili.
Le farfalle volano cercando cristalli nei sogni,
e le fiamme nella foresta bruciano ali e tempi.
Barbari, mercenari, cannibali, preti e profeti.

Forma assente, vuoto, nella mente dilaga follia.
Silenzi assordanti sfondano i timpani, campane
di bronzo fuso dal fuoco dell'inutile guerra.
Nella mente specchi, pensieri brucianti di rabbie.

Poeta, taci? tu non puoi! la tua è Poesia. Illusione
e paura, mia, riflessi muti su pareti di gomma. L'orrore
invade il mondo; potenti, bellezze, orchi, del pudore
divoratori. Striscia, tranquilla, languida, la parola vestita.

Piccoli fiori senza più petali. Fragile gazzella, pelle
consumata dagli sguardi assetati di affamati leoni.
Il mondo guarda, il mondo sa, è complice e tace.
Vendute, le vendono morte nell'anima. Ed io, poeta?

No, Complice!

M.S.
© copyright2009

martedì 15 aprile 2014

ONDE Parole e Musica


ONDE.
Parole e musica.
Testi e voce narrante di MARIO SCIPPA
Musiche e arrangiamenti di DARIO PERRONI
Onde è un viaggio postmoderno all'interno della lingua napoletana.
Un viaggio ai confini dello stereotipo, insieme alla maschera che più rappresenta la lingua
napoletana: Pulcinella.
Il pulcinella di Mario Scippa è svestito di tutti gli elementi oleografici che nei secoli lo hanno
appesantito fino a banalizzarlo. La sua voce è accompagnata dalle onde sonore del Theremin,
suonato da Dario Perroni.
Il pensiero, viaggia su metafisiche onde che accompagnano verso un viaggio introspettivo, per poi
incontrare il mondo esterno.
Un viaggio postmoderno trasportati dalle ONDE, dentro e fuori la maschera,
La fisica incontrerà il grottesco e la tragedia
Noi siamo continuamente attraversati da Onde, delicate, violente, silenziose, rumorose, trasparenti,
luminose. ONDE, che fanno risalire a galla, dal profondo oceano della nostra memoria, frammenti
del nostro essere, facendoci riscrivere, in ogni momento,
ciò che abbiamo dentro.




Immagini che risalgono anche come il fuoco ardente dagli inferi, dall’aldilà, lo stesso fuoco dove il
Sommo Poeta, Virgilio, accompagnò la Poesia, Dante, nel viaggio nell’oltretomba.
La stessa metafora del fuoco, dalla quale nello spettacolo, la figura ideale del Poeta,
interpretato da Mario Scippa, tira fuori la maschera di Pulcinella, per meglio dire un frammento di
maschera salvato dal fuoco e della melma dello stereotipo e del luogo comune e si presenta al
pubblico denudato del suo costume.
E' un Pulcinella postmoderno, nero, come carbonizzato dai secoli, con indosso la sola maschera, il
suo pezzo di volto che ha ancora voglia di parlare e dire.
Parla, dice e canta, costruendo monologhi intorno ad alcune parole chiave, dal forte potere
evocativo. Parole che da sempre ha dentro di sé e che sono riuscite da sole a tenere in vita
l’essenza della maschera che più rappresenta Napoli nell’immaginario mondiale.
Il Pulcinella messo in scena nello spettacolo, scritto e diretto e interpretato da Mario Scippa,
rappresenta l’archetipo della vitalità del popolo, l’espressione degli istinti primigeni, l’anti-eroe
ribelle e irriverente, simbolo universale della napoletanità, è ravvisabile di una natura duale.
Attraverso la gestualità, in modo sottile, l’autore mette in evidenza anche un dualismo atavico di
questa maschera che si esprime con l’ermafroditismo intrinseco del personaggio, simbolo della vita
che rinasce da se stessa, rievocando il mito dell'araba fenice, che risorge dalle sue stesse ceneri
Le musiche e le atmosfere sonore, sono scritte apposta sulle parole dell’autore da Dario Perroni,
magistralmente suonate dai componenti del gruppo sperimentale MunduRua, formato dallo stesso
Perroni, Mario Di Bonito e Giandomenico Caniello e una leggerissima Ornella Iuorio, che con i
suoi sinuosi movimenti da vita, sensibilità e corpo, alla “parola”.
Lo spettacolo, fluido, ha un andamento “sinusoidale”: momenti di trascinante ritmica, dove sono
evocate sonorità arabe, celtiche, africane, gitane, sono alternate da monologhi, prima del Poeta
ideale, poi di Pulcinella.
Al centro dello spettacolo anche direttamente dall’autore, dove Pulcinella interrompe un suo
monologo alzando la maschera lasciando intervenire direttamente l'autore: Mario Scippa.
Si completa così il trittico dei personaggi interpretati dall’Autore: Il Poeta ideale, Pulcinella ovvero
la Poesia, e se stesso.
In costume nero, con solo la maschera, Pulcinella Borghese simboleggia la risalita dalle Fiamme
degli Inferi, e si configura nello stesso modo che nell’immaginario comune: come eroe della
trasgressione, con tutti gli attributi tanto della virilità espressa, quanto della femminilità iscritta nel
suo stesso corpo e gesti; proprio come è rappresentato nei dipinti e nelle antiche incisioni:
”ermafrodito autofecondante”.
Nello spettacolo si è voluto sottolineare delicatamente il potere della maschera, che permette alla
società di liberarsi ritualmente del peso del peccato e della vergogna, della sopraffazione e
dell’arroganza.
Con l’inganno della maschera Pulcinella riesce a superare i tabù psico-culturali e insieme a
prenderne coscienza e annullare l’inquietudine, evidenziando l’estrema necessità di allontanarsi
dagli steretopi di chi vuole rintracciare quella potente energia naturale, dalla forza salvifica per il
mondo: la bellezza.

In Onde non si è tralasciato lo stretto legame simbolico tra la maschera di Pulcinella e il concetto di
morte: non si dimentichi che la sua veste bianca è un sudario, e la sua faccia nera dal profilo di
uccello ricorda antiche e arcaiche divinità demoniache del regno dei morti.