martedì 6 novembre 2012

RESEDA fotografie di Angelo Casteltrione a cura di Mario Scippa


La reseda è una pianta erbacea della famiglia delle Resedacee (Reseda lutea), con infiorescenze a grappolo di colore giallo-verdognolo, molto profumate

La reseda è originaria dal Nord Africa e dall'Europa meridionale. Ha i fiori che crescono a grappolo poco appariscenti, di colore variabile a seconda delle specie dal bianco al giallo, dall'arancio al verde, ed è coltivata per il suo intenso profumo e viene largamente utilizzata per la cosmesi e la preparazione di profumi.
Le foglie sono alterne, disposte a formare una rosetta alla base del fusto.
Il nome deriva dal latino resedare = calmare, in riferimento alle proprietà medicinali attribuitele.


Nominando  Reseda si pensa alla calma, alla bellezza, al Nord Africa, all' Europa meridionale al Mediterraneo.
Gli stessi elementi semantici intorno cui  ruota tutta la poetica di Angelo Casteltrione.

Il suo entusiasmo, la sua generosità, il suo essere "mediterraneo", traspaiono prima dal suo sorriso e poi dalla sua fotografia. Immagini sempre semplici, mai artefatte, mai gratuitamente spettacolari. Il suo è sempre un linguaggio diretto e mai che ricalca immagini e linguaggi visti.
Una bellezza che è volutamente poco appariscente, un po' nascosta e quindi tutta da scoprire.
Come nel linguaggi dei fiori ci dice la Reseda.

Cum Finis, insieme sul limite, in un territorio di Margine, dicemmo all'inaugurazione della rassegna dei 13 fotografi che ho invitato.

Con Angelo Casteltrione siamo sempre sul limite, sul confine del sensibile, di ciò che ci appare scontato.
Il fotografo, l'artista, ci accompagna con le sue immagini in un territorio dove la bellezza traspare nelle cose più semplici, quasi scontate ai nostri occhi.
È  ricercata con sensibilità sempre nelle cose  poco appariscente, in punta dei piedi, in silezio,  nelle atmosfere più semplici.
Fare poesia, disse qualcuno, è far apparire straordinario ciò che è normale e scontato.

Casteltrione scrive poesia con la luce. 

È poesia lo squarcio di muro che racconta, con la stratificazione dei colori naturali e crudi della pietra  bruciata dal fuoco,  la storia di Napoli e la bellezza della natura selvaggia che lo divora. Una immagine di  ruskiniana memoria.
La denuncia del degrado , spesso presente nelle sue immagini, si allontana dai canoni linguistici del fotogionalismo  entrando a pieno titolo nella ricerca pura della bellazza della forma nella dimensione della poesia.
Come nel  riflesso di una pozzanghera che si crea in una strada dissestata,  la fotografia che ha proposto alla presentazione della rassegna durante la collettiva Cum Finis.  In quel riflesso si legge l'armonia di una architettura settecentesca. La cruda realtà vista e proposta attraverso il suo riflesso, come ci ha insegnato Calvino quando parlava della leggerezza.
Quella  serie di ombrelli su un prato che  diventa  chiara citazione alla pittura degli artisti napoletani della scuola di Resina, dove   forse l'autore vuole ricordarci delle sue radici culturali che affondano nella poetica dei vari autori che partendo dalla pittura dal vero hanno avuto contatto con gli impressionisti francesi a Parigi: Ragione, De Nittis o i Dal Bono, la scuola di Resina.
Angelo Casteltrione Pesci


L'apoteosi che lega la fotografia di Casteltrione al linguaggio complesso e stratificato dell'arte e in particolare della pittura napoletana è la natura morta con pesci.
In questa foto Angelo fa  un omaggio al periodo più forte della pittura napoletana, il periodo barocco del seicento. È una chiara  citazione di un grande artista  napoletano protagonista assoluto di quel periodo storico-artistico, Giuseppe Recco.
E' incredibile come la gamma cromatica nell'immagine fotografica sia analoga quella di un quadro in particolare del maestro baroccoo. La composizione: nel quadro dell'artista barocco il gruppo di pesci è leggermente inclinato dall'alto a sinistra fino all'anguilla in basso a desta; nella foto l'anguilla diventa una corda bagnata. Nelle due immagini, l'anguilla in Recco, la corda in Casteltrione,  sono le linee generatrici e ordinatrici della composizione armomica ed equilibrata nella forma e nel colore che racconta un momentoi di normale quotidianietà che è sempre esistito a Napoli, l'arrivo della paranza. Che bellezza.
Giuseppe Recco Pesci
La bellezza tante volte è proprio là, sotto i nostri occhi. Là, dove ci sembra tutto scontato .
Ce lo dice quel  fiore: LA RESEDA

Mario Scippa

Appuntamento il 15 Novembre ore 18.30 al SALOTTO LETTERARIO ANTICHITA' SCIPPA a Napoli, in via Vannella Gaetani 21,  info 0817642922

sabato 3 novembre 2012

se vuoi presentare un libro da noi contattaci


Sandra Milo e Gabriella Di Luzio il 31 ottobre 2012 al Salotto Letterario Antichità Scippa



Buonasera a tutti e benvenuti al Salotto letterario Antichità Scippa.
Ringrazio innanzitutto Silvana Vajo e il Maestro Carlo Molinelli.

Stasera parleremo del tempo della vita scadenzato dalla madre di tutte le emozioni. Di quella emozione che ci fa sentire tanto leggeri, tali da apparire agli occhi degli altri superficiali, quanto, nello stesso tempo, ci fa sentire e vivere tutto il peso della nostra esistenza e che tante volte è il vero orologio della nostra vita che scadenza il tempo con la sua forza dirompente nella nostra esistenza: L'amore.

Ne parleremo presentando il libro Rapsodia degli amori perduti della eclettica scrittrice, attrice, di cinema e di teatro, Gabriella Di Luzio, insieme al nostro amico il giornalista Giuseppe Giorgio, e insieme a una donna che non ha bisogno di presentazioni particolari, che con l'immagine della leggerezza ha costruito la sua personalità sia di donna che di attrice, tale che il suo personaggio è identificato nell'immaginario collettivo come l'emblema del frivolo e del leggero: Sandra Milo.


Sandra Milo, Silvana Vajo, Gabriella Di Luzio


Leggerezza. Quando inaugurammo questo spazio dedicammo una serata al tema della leggerezza interpretando “l'idea poetica come un momento di sottrazione di peso alle cose e agli eventi".
Noi del salotto, siamo convinti che la leggerezza non è mai superficialità ma è un vivere la vita fino in fondo assaporandone tutte le sfumature e quindi sentendo il peso della nostra esistenza che non fa mai scivolare il tempo ma ce lo fa vivere in ogni suo istante.


È difficile de-scrivere l’amore.
È difficile perché si vuole rappresentare con una forma conclusa una cosa che vive in uno spazio indefinito senza alcun tempo, in uno spazio limitato qualcosa che è illimitato, misurare con il tempo della scrittura il tempo di qualcosa di impalpabile ed estremamente soggettivo, ma allo stesso tempo comune a tutti e che vive nell’eternità.
E' difficile perché si deve essere capaci di dare una forma leggibile all’emozione madre di tutte le emozioni.
Forse è vero quando si dice che il mistero dell’amore è più grande del mistero della morte.
La morte la sappiamo raccontare tutti, l’amore no, per raccontare l’amore si deve essere artisti.

Gabriella Di Luzio nel suo libro Rapsodia degli amori perduti, racconta l’amore da artista, ovvero da chi ha tra le mani quello strumento che ci permette di andare oltre i confini del sensibile, in quel territorio libero dove è possibile rintracciare la bellezza e vivere con leggerezza.

I confini del sensibile, un territorio di margine.
Tema intorno al quale stiamo lavorando, qui al salotto, da almeno due anni, con la fotografia, con la pittura con la poesia, con i libri che abbiamo presentato finora. E quel territorio di margine lo abbiamo individuato nei vari libri presentati nella dimensione del ritorno a Napoli per tentare di raccontare, mettendo insieme questi frammenti, da tanti punti di vista diversi dei personaggi dei vari libri che pur non vivendo a Napoli descrivono la città in un loro ritorno in città. Come lo sguardo di un ex terrorista napoletano degli anni 70' che ritorna a Napoli dopo una assenza di 30 anni dalla città nel libro di Attilio Belli Fuoco ai Quartieri Spagnoli, o quello di uno straniero inglese che ritorna nei luoghi delle sue origini nei campi Flegrei, nel libro di Francesco Escalona Giallo Tufo, nello sguardo di un giornalista napoletano, che lavora nel nord Italia, e che decide di accettare un posto di insegnante in una scuola della periferia Est di Napoli, in una zona degradata dal punto di vista ambientale e sociale, nel libro Fiction di Enza Alfano, e in tanti altri libri che abbiamo presentato in questi mesi qua da noi.
In questo quadro di presentazioni stasera anche Rapsodia degli amori perduti, è per me un ulteriore punto di vista particolare sulla città in un ritorno a Napoli.
L'autrice ci fa vivere, oltre al tema portante del libro, una narrazione della città da un punto di vista spesso snobbato dall'ultimo intellettualismo napoletano ma che dal nostro modo di vivere e vedere Napoli, è una immagine da cui non si può prescindere nella narrazione della città.
L'immagine disincantata della cartolina, quasi dello stereotipo, del luogo comune.
Ecco noi siamo convinti, e lo dicemmo anche quando presentammo il libro di Giuseppe Giorgio, Partenope in pizzeria, dove si parla del luogo comune per eccellenza di Napoli, la pizza, che lo stereotipo, la cartolina di Napoli è come se fosse una cornice di un'opera d'arte iniziata più di duemila anni fa e che ancora deve essere conclusa.
Lo stereotipo è per noi il vero confine di Napoli, è quella cosa che è immediatamente riconducibile nell'immaginario mondiale appena si pronuncia la parola Napoli.
Di Luzio nel libro quando parla di Napoli, dipinge degli acquerelli freschissimi, con una disinvoltura nell'uso del linguaggio che solo autori del calibro di Raffaele la Capria sono stati capace di dipingere con le parole. Per la sua capacità, naturale di usare il linguaggio con leggerezza, In alcune pagine del libro sembrava di rileggere qualcosa che ho avuto modo di leggere solo nell'armonia perduta o una bella giornata di questo grande autore napoletano.

Il libro
Il tempo del libro è cadenzato dalla forza dall’Eros che vince Thanatos, la forza ascendente, leggera, che vince la forza di gravità che inesorabilmente attrae ogni cosa materiale e immateriale verso il centro della Terra e che fa sentire veramente viva e piena la nostra esistenza.
Il tempo di questo libro è cadenzato dal tempo dell’amore nella vita di una donna che vive la sua vita intensamente, senza farsi scivolare addosso il tempo convenzionale, quello dell'orologio del calendario, per intenderci, che inesorabilmente scorre.
L’autrice ci tiene sempre a dire che non è un libro autobiografico. E’ la verità. Anche se Mara, la protagonista del libro, per quel poco che ho avuto modo di conoscere Gabriella, posso dire, senza ombra di dubbio, che le somiglia molto.
Ma se è autobiografico o non un libro è un particolare insignificante. Io sono convinto che ogni scrittore che ha una urgenza narrativa, qualsiasi sia la storia che si inventa, non fa altro che narrare se stesso: ciò che è stato, ciò che sarebbe potuto essere stato, ciò che non è mai stato, ciò che sarà, ciò che ha sognato o desiderato di essere.
Insomma, ogni scrittore non fa altro che raccontare sempre se stesso visto da angolazioni sempre diverse, così come ha fatto Gabriella Di Luzio, che narra la vita di Mara scegliendo come struttura portante di quella vita alcuni momenti, punti fermi intorno ai quali quella esistenza costruisce nel tempo la sua ricca e sensibile personalità: i momenti della vita segnati dall’amore. Quegli attimi squisiti che la vita ci regala.


Leggendo questo libro mi è venuto in mente un famoso aforisma di un famosissimo autore e da questo aforisma, come mio solito, ho scritto dei versi, li ho scritti anche se non sono abituato a farlo, in napoletano, Stasera, a conclusione di questa serata, li dedico al libro e a Gabriella, perché le sue parole sono diventate uno stimolo fondamentale per la scrittura di questi miei umili versi e una apertura verso nuove esperienze che che sicuramente farò con la mia lingua madre un libro che vi consiglio di leggere .
"la vita altro non è che un brutto quarto d'ora
composto da attimi squisiti"
Oscar Wilde

Dinto 'a nu quart' d'ora.

Nu quart’ d'ora, ah, si putesse sta’ cu te!
A mana mia cercass' ‘a toia. Strett' a mme.
Nu poco ‘e tiempo sulamente, te tenesse,
tutt' ‘o tiempo ca mai fernesse.
Nu quart' d'ora: na vita, nu mumento.
Cu ll'uocchie dint’ all'uocchie. ‘O silenzio è
Musica! Abballassemo stritte tutt' 'a nottata.
È nu quart' d'ora sulamente. Sulo nu mumento
ca pe' semp
pe' sempe
se fermass’ ‘o tiempo!
O rummore d’ ‘o mare. Nu suonno e tu cu me.
Mantieneme cu nu pensiero. Cu ll'uocchie,
cu ‘e mmane, senza na parola, na voce sient' ‘e parlà.
È a voce d’ ‘a pelle, d’ ‘o sango, ‘e ll'ammore!
Dinto 'a nu quart’ d'ora, ah! Sì! Io ‘o ssaccio,
o ssaccio: è ll'ammore,
c' 'allucca e canta, senza 'e te
dinto ‘o silenzio d’ ‘a notte.
m.s.

Peppe Giorgio, Mario Scippa, Mafalda Casertano, Sandra Milo, Gabriella Di Luzio, Luisa Scippa





giovedì 11 ottobre 2012

Il Dolore. Perchè? di Aldo Di Mauro Presentato il 10/10/2012


Buonasera a tutti e benvenuti al salotto letterario Antichità Scippa.
Ringrazio la scrittrice Brunella Brizio per aver regalato ancora una volta la sua bella voce e la deliziosa ed elegante presenza al salotto, e il maestro Carlo Molinelli, ormai presenza indispensabile da noi, che con le sue melodie riesce a rendere magici i nostri incontri.


Stasera parleremo del libro di Aldo Di Mauro 
IL DOLORE. PERCHE'?


Nel corso della serata ascolteremo e vedremo l'ultimo intervento pubblico del professore emerito Mario Coltorti . Quello del 15 ottobre del 2008, proprio alla presentazione del libro di Aldo di Mauro che si tenne all'istituto italiano degli studi filosofici di Napoli. 

Il Professore emerito Mario Coltorti, che tutti voi conoscono per la sua umiltà per la sua grande professionalità, e per la sua grande scoperta che ha dato lustro alla scienza italiana contribuendo alla conoscenza della fisiopatologia del fegato ed all’identificazione delle transaminasi.

Lui rimproverava quelli che lo definivano sempre professore emerito. Proprio come alla presentazione del libro di Di Mauro, quando venne definito con quel titolo dal coordinatore dell'evento Prof. Raffaele Pempinello, disse scherzando che non poteva considerarsi tale perché anticipò il suo prepensionamento all’Università di cinque anni, andando via dall’Accademia sbattendo la porta. 



E aggiunse: “sono un ‘professore pentito’, non un professore emerito».
Insieme all'autore Aldo Di Mauro e con lo spunto di riflessione che ci giungerà dall'intervento video del professore Coltorti, parleremo del dolore, di quella particolare dimensione che tutti, chi in un modo chi in un altro, abbiamo vissuto nell'arco della nostra vita. Una dimensione comune a tutti che nonostante sia vista come qualcosa di estremamente negativa è una di quelle dimensioni che ci fa sentire con tutto il suo spessore l'essenza della nostra esistenza, ci fa sentire vivi e anche apprezzare di più le gioie che la vita ci regala.

Passa la rondine e con essa estate,
E anch’io, mi dico, passerò…
Ma resti dell’amore che mi strazia
Non solo segno un breve appannamento
Se dall’inferno arrivo a qualche quiete…”

da il Dolore, di Giuseppe Ungaretti , uno dei poeti che amo di più, disse in una intervista. «Il dolore è il libro che di più amo, il libro che ho scritto negli anni orribili, stretto alla gola. Se ne parlassi mi parrebbe d’essere impudico. Quel dolore non finirà più di straziarmi». Eppure dalla sua penna sono usciti frammenti di bellezza dalla dimensione infinita, pensate a quella meravigliosa poesia dal titolo Mattina:
Mi illumino di immenso”

che meraviglia!

In tutti i tempi, da che mondo è mondo, poeti, filosofi, pensatori, si sono soffermati e hanno riflettuto sulla dimensione del dolore. Ho avuto modo di leggere alcuni libri di Aldo Di Mauro e l'autore è da considerare, dal mio piccolo punto di vista, un poeta contemporaneo che in perfetta sintonia con i classici di tutti i tempi, ci fa sempre riflettere su alcuni temi profondi della vita.
Sì! non avete capito male, ho detto poeta.
Perché il suo modo di scrivere è tipico di chi fa poesia, vera poesia. Di mauro scrive con leggerezza.


Italo Calvino disse che la leggerezza è qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta, indipendentemente dalla dottrina del filosofo che il poeta dichiara di voler seguire. Quando leggo qualche articolo su Di Mauro vedo che gli danno sempre il titolo di filosofo, secondo me erroneamente, perché ogni argomento da lui trattato, come quello del dolore in questo libro, partendo da riflessioni di carattere filosofico, ovvero facendo filosofia nell'accezione piena della parola, che dal greco (filèin), "amare", (sofìa), "sapienza", ossia "amore per la sapienza" l'autore affronta sempre i suoi scritti ponendosi domande e riflettendo sul mondo e sulla natura dell'uomo, indaga sempre sul senso dell'essere e dell'esistenza umana e si prefigge inoltre il tentativo di studiare e definire la natura, le possibilità e i limiti della conoscenza, ma il particolare che contraddistingue Di Mauro e che è la leggerezza con cui naturalmente riesce ad affrontare i temi più profondi della vita, una leggerezza che solo i veri poeti riescono ad ottenere con la parola scritta.

Questo libro non è un manuale con risposte preconfezionate ai vari aspetti del dolore indagato nei vari campi, dalla medicina alla psicologia, dalla filosofia alla teologia.
In poche sintetiche pagine l'autore, come in un abbozzo di un grande artista, ci fa intravedere un profilo del suo grande spessore culturale, umano e poetico. Un abbozzo di un autoritratto della sua complessa ed eclettica personalità, che da raffinato e poliedrico intellettuale riesce a spaziare in vari campi del sapere sempre con quella leggerezza che lo contraddistingue e che mi ricorda tanto una figura mitologica dell'antica Grecia che incarnava lo spirito del passaggio e dell'attraversamento, che si manifestava in qualsiasi tipo di scambio, trasferimento, violazione, superamento, mutamento, transito, tutti concetti che rimandano in qualche modo ad un passaggio da un luogo, o da uno stato, all'altro. Nei suoi scritti e nelle conversazioni che ho avuto con lui mi ricorda quella figura mitologica che era in relazione con i cambiamenti della sorte dell'uomo, con lo scambio di beni, con i colloqui e lo scambio di informazioni nonché, ovviamente con il passaggio dalla vita a ciò che viene dopo di essa. La figura poetica e intellettuale di Aldo Di Mauro mi ricorda Hermes, per i romani Mercurio, il messaggero degli dei che viaggiava leggero sui suoi sandali alati.
M.S.



Senza Volto.

Morsa nel petto, stringe, non sa.
L'aria manca è la paura. Arriva
un leggero dolore, fiore che va.
Nuvola, fluttuante, nell'aria vola.

L'immensità, dentro si fa largo
silenziosa, avvolge gli sguardi
orizzonti lontani smarriti nel lago
blu. Poi viola, bianco, grigio. Nero.

Passo felpato di giovane donna.
Colorata, leggera, mossa dal vento
la sottile e trasparente veste rossa.
Rosea è la pelle, avvolge l'inganno.

Serpente, senza volto, corpo di donna,
è intorno all'idea, che soffoca dentro
un alcova senza pareti. La luce, fioca,
indebolisce gli sguardi, già stanchi.

Poi, tango. Movimenti lenti, brivido
sui pori della pelle. Capezzoli induriti
e mani che strisciano sul caldo fianco
morbido. Profumo d'Oriente.  Corpi.

Uniti nell'infinito

M.S.
(pubblicata ne: IL COSTRUTTORE DI ILLUSIONI di Mario Scippa)



La scrittrice Brunella Brizio
Il Giornalista Giuseppe Giorgio tra il pubblico


Aldo Di Mauro, il fotografo Antonio Coppola e il Maestro Carlo Molinelli


giovedì 4 ottobre 2012

LIMEN. Fotografie di Luca Canzanella. Il Mio Intervento di presentazione al Salotto il 3 Ottobre



CUM FINIS
13 FOTOGRAFI RACCONTANO NAPOLI DA UNA ZONA DI MARGINE

PRESENTA

LIMEN
Fotografie di Luca Canzanella
a cura di Mario Scippa

Buonasera a tutti e benvenuti a questo quarto appuntamento della rassegna CUM FINIS, insieme sul limite. L'avventura che abbiamo iniziato prima dell'estate insieme all'editore Pompeo Paparo e i 13 fotografi, per raccontare un frammento di Napoli da una zona di margine, partendo dal presupposto che la fotografia, come la poesia, è uno strumento per andare oltre i confini del sensibile, in quel territorio dove è possibile rintracciare la bellezza.
Confini, Sensibile, Oltre, bellezza. Narrazione per frammenti. Napoli.
Abbiamo iniziato questo viaggio per narrare la città di Napoli da una zona di margine partendo da ciò che simbolicamente rappresenta un possibile tracciato ordinatore, con Opus Reticulatum, l'opera reticolare che ci ha proposto Malja Branndo con le sue geometriche astrazioni, per poi fare un viaggio sulla superficie sensibile della città, che ci ha proposto Massimo Buonaiuto con Cutis Parthenope, una bella interpretazione della l'evanescente pelle della città che il fotografo l'ha individuata nel cielo di Napoli.
Stasera è Luca Canzanella, il fotografo che ci propone Limen, una visione di un frammento di una immagine concettuale della città da un punto di vista particolare, un luogo che è sempre cerniera e filtro tra due diversi luoghi: la "soglia".
Napoli è una città caratterizzata da tanti centri definiti da tanti margini, a volte fisici altre volte solo concettuali. La complessità della città è data dall'intersezione, la sovrapposizione, il completamento e la differenziazione di tutti i centri che la compongono.
L'elemento spaziale che mette in relazioni questi luoghi è la soglia. Limen, soglia, è qualcosa che si pone fra due cose. È il momento di comunicazione tra due luoghi, delimita e apre allo stesso tempo.
La soglia non ha bisogno di confini netti. Gli spazi che connette sono spazi che essa stessa apre, senza per questo conchiuderli reciprocamente. Non coincide con un’apertura nel perimetro.
LIMEN è l'apertura del perimetro. L'apertura di ciò che dà luogo al perimetro e allo spazio che il perimetro racchiude, è il punto di indifferenza tra dentro e fuori. 
Essere su una soglia significa precedere e succedere ogni luogo.


Canzanella con le sue foto mi ha fatto riflettere su un particolare secondo me estremamente significativo nella definizione del concetto di Soglia. Quel particolare è il movimento.
Il movimento è ciò che da senso spaziale ad una soglia.


LIMEN è tale solo finché lo si percorre, attraversa.
Se fermassimo il nostro cammino, annulleremmo la soglia stessa.
La soglia avviene in una variazione. 


La variazione implica un prima e un dopo, un al di qua e un al di là.
Quindi la soglia è sempre soglia di qualcosa per qualcuno in movimento, come nella fotografia di Luca Canzanella, più che un luogo fisico oggettivo è quasi un concetto spaziale soggettivo.
Luca Canzanella, rappresentando fisicamente dei luoghi Soglia della città, ci fa varcare lo spazio della sua personale soglia concettuale . Muoversi da uno spazio a un altro è possibile se e solo se si attraversa una soglia. Ciò non significa annullare le differenze, abbattere qualunque confine, ignorare ogni margine considerandolo come semplicemente illusorio. Piuttosto si tratta di rivedere la soglia che li ha permessi, ridipingerla, ripeterla in nuove figure, per rilanciarne così la scommessa, per ripristinarne il senso, cambiandolo per rispettarlo. Capire le soglie, confrontarsi con esse, vuole dire non solo capire come sono accadute e cosa hanno “provocato”, bensì anche dove conducono e quale “senso” assegnano allo spazio, quale direzione permettono e quale destino designano. .
Nel rintracciare le soglie che ci circondano e che configurano il mondo noi rintracciamo il mondo stesso. Questo significa aprirci a possibili nuove configurazioni del mondo stesso, tendenti alla liberazione dalla superstizione dei margini e dei confini naturali o necessari, oggettivi prima e oltre ogni loro possibile definizione. Definire una soglia significa pertanto ripeterne il gesto, rifondarla in un movimento che le ridona un luogo attraverso nuovi e autentici orizzonti di senso.
La soglia incarna l’infinito come attuale nella continuità del suo incedere. Come nella quarta fotografia proposta da Luca Canzanella, dove è il movimento, che si svolge senza alcun margine, senza alcun confine, che esprime per immagine il significato concettuale della Soglia, del LIMEN ricercato dal fotografo.
M.S.


Limen

Da dov'era partita, seguendo la linea
fino all'infinito, arrivò.
Cerchio.
Sacro tempio. Inviolabile fortezza,
denti aguzzi di un affamato coccodrillo.

Muri, stanze. Dov'è la parola?
La porta! Il Varco, La soglia.
Il suo passato perso, tra ventiquattro porte
La mano incerta provò. Nuova si aprì
davanti a lei una stanza.

Orizzonte bloccato, linea spezzata.
Poi ancora porte, ventiquattro.
Al centro un violino,silenzioso
equilibrio col fuoco,
il suo cielo la volta, vela senza centro.

Cercatrice del mistero nel cerchio,
bloccata è sulla soglia.
Di notte, antichi Muratori,
riflessi negli occhi di una scimmia,
innalzavano muri,
Mario Scippa in una foto di Malja Brando
Mario Scippa e Luca Canzanella in una foto di Malja Brando
di perché.
M.S
















martedì 2 ottobre 2012

dal 3 OTTOBRE ore 18.00. LIMEN fotografie di LUCA CANZANELLA al Salotto Antichità Scippa




Quarto appuntamento della rassegna 
CUM FINIS, insieme sul limite. 
L'avventura che abbiamo iniziato prima dell'estate insieme all'editore Pompeo Paparo e i 13 fotografi, per raccontare un frammento di Napoli da una zona di margine, partendo dal presupposto che la fotografia, come la poesia, è uno strumento per andare oltre i confini del sensibile, in quel territorio dove è possibile rintracciare la bellezza.
Confini, Sensibile, Oltre, bellezza. Narrazione per frammenti. Napoli.
Abbiamo iniziato questo viaggio per narrare la città di Napoli da una zona di margine partendo da ciò che simbolicamente rappresenta un possibile tracciato ordinatore, con Opus Reticulatum, l'opera reticolare che ci ha proposto Malja Branndo con le sue geometriche astrazioni, per poi fare un viaggio sulla superficie sensibile della città, che ci ha proposto Massimo Buonaiuto con Cutis Parthenope, una bella interpretazione della l'evanescente pelle della città che il fotografo l'ha individuata nel cielo di Napoli.
Stasera è Luca Canzanella, il fotografo che ci propone Limen, una visione di un frammento di una immagine concettuale della città da un punto di vista particolare, un luogo che è sempre cerniera e filtro tra due diversi luoghi: la "soglia".




Appuntamento: al 
SALOTTO ANTICHITA' SCIPPA arte&cultura
Mercoledi 3 Ottobre ore 18.00
interverranno:
Luca Canzanella, L'autore
Pompeo Paparo Editore
Mario Scippa Curatore della rassegna.

Ingresso libero e buffet


sabato 23 giugno 2012

Il carattere della bellezza è ambiguo?

UN MIO CONTRIBUTO AL DIBATTITO:
Il ruolo dell'arte tra cultura ed economia
PROMOSSO dal prof. ANTONIO CIRACI
durante il finissage dellla Mostra 5X5
alla Galleria d'arte APOTHECA 
Pozzuoli 21 Giugno 2012

Il carattere della bellezza è ambiguo?
di Mario Scippa

opera di Peppe Gargiulo






Ringrazio Peppe Gargiulo e Antonio Ciraci per avermi invitato a questo incontro. Il tema di questo incontro è Il ruolo dell'arte tra cultura economia.

Io non sono un economista, neanche un artista.

Non posso parlare ne di arte ne di economia, tanto meno del rapporto tra arte e economia.

Sono invece un poeta. Sì! un poeta.

Fino ad un po’ di tempo fa mi imbarazzavo a definirmi tale. La sentivo una parola troppo grande, una definizione per personaggi che vivono nel mondo della fantasia o del mito. Però siccome io ho questo maledetto vizio di non fermarmi su ciò che appare scontato, in particolare sui significati delle parole, visto che tutti mi definivano poeta, ho voluto indagare il significato delle parole Poeta e Poesia.
Poesia deriva dal greco Poiesis, che letteralmente significa fare, creare, inventare. Per cui poeta è colui che fa che crea che inventa dal niente qualcosa. Ebbene mi sono riconosciuto in questa definizione e mi piace definirmi uno che con le parole inventa, crea, fa.
Piuttosto che parlare specificamente del tema proposto dagli organizzatori mi piacerebbe affrontare con voi un discorso che sta alla base del tema proposto e fornire qualche elemento, anche solo di taglio poetico, che credo può essere utile al dibattito. Come vi ho anticipato, io non sono un economista, non sono un sociologo, neanche un filosofo, ma semplicemente un poeta, uno che inventa dal niente qualcosa con le parole, per cui inizierò il mio intervento leggendovi un mio piccolo scritto ancora inedito, che è la conclusione di un lavoro che sto terminando e che come spesso mi capita le conclusioni dei libri diventano le introduzioni.
Si tratta di un romanzo strutturato su un discorso sulla bellezza intesa come potente energia naturale e sul ruolo sociale dell'artista inteso come colui che ha la grande responsabilità di rivelarla.






Il mare, azzurro.


Il mare di Napoli, un ventre gonfio di liquido amniotico dove nascono e annegano sogni, desideri, amori, paure, bisogni e speranze.

La pietra, la pietra di fuoco, quella delle viscere della città, il Tufo, giallo, lavorato e diventato fortezza, il castello sul mare.

Due occhi, splendidi, verde smeraldo, meravigliati e stupiti, lacrimano al vento, 

l'aria.

Fuoco, acqua, terra, l'aria


e le mani che accarezzano un viso.

Il vento. E poi un sorriso. Due gabbiani.

Corpi pesanti, attratti dal centro della terra, cadono, cadono, cadono,
precipitano velocemente verso il basso.
Di sotto c'è il mare.
Le onde si infrangono sulla pietra gialla del castello.
Aleggia un fantasma, è Newton.
La gravità terrestre accelera la caduta. 
Cadono, liberi, senza sforzo.
Il tempo di un corpo che cade rallenta.
Lo slancio, improvviso, forte e deciso.
Il tempo dilata e in un attimo si fa eternità.

Uno schiocco, un arciere Zen, un calcio alla palla è Maradona, colpo di scappello sulla bianca breccia del marmo è Michelangelo, un tasto del pianoforte premuto da Glenn Gould in una fuga di Bach.
No!
È un taglio netto, pulito, sulla vergine, bianca superficie di una tela che va oltre la dimensione scontata. 
E’ Uno schiocco nell'aria.
Lo sforzo incredibile di vincere la gravità si traduce in un suono, secco, breve che accompagna la svolta, l'iperbole esatta, la risalita, disegnata nell'aria dai due gabbiani.
E Poi…. il silenzio.
Ali stese galleggiano nell'aria. 
Nel silenzio c'è tutto.
Perché, non va bene?
Sono frammenti di bellezza o è solo un elenco?
Un elenco, meraviglioso! e poi...
… ci sono anche i miei occhi. 
Sono i miei occhi nei tuoi occhi, vero?
Forse sono i tuoi occhi. 
Come forse è il tuo sorriso confuso col mio e forse è la mia mano, che asciuga la lacrima che cade sul viso.
No! E' il vento.
Ed io bevo il tuo sguardo stupito.

...che bellezza!


In Oculis Gestare. la bellezza di Peppe Gargiulo, con Mario Scippa


foto Saverio De Meo
La bellezza
In un suo intervento all'inaugurazione di una mostra, qualche tempo fa, il filosofo napoletano Aldo Masullo disse: L'arte è uno strumento che ci permette di andare oltre i confini del sensibile, là dove è possibile rintracciare la bellezza.
La bellezza.
La bellezza contiene in sé una forza salvifica, sosteneva Dostoevskij.
La bellezza,
l'unica vera forza che ci può salvare da questo abisso nel quale negli ultimi anni siamo precipitati.
La bellezza,
ci ricorda il grande Erri De Luca, è quella energia potente che vincendo la forza di gravità, partendo dal centro della terra, si espande in tutti i punti dell'universo attraversando ogni cosa, animata e non.

Coloro che fanno arte sono tra quelle persone che hanno il dovere morale di rintracciare e rivelare a noi altri questa potente energia dalla forza salvifica.
Gli artisti, sì!
Perché gli artisti sono coloro i quali riescono ad isolare un frammento di spazio e di tempo dal continuo divenire, ad isolarlo dal caos costruendo un ordine, una forma.
Spesso, questo frammento spazio-temporale viene isolato per caso.
Il Caso. E' quell'attimo di ordine nel caos dell'universo che è intorno a noi, un ordine che è la manifestazione di quella energia di cui parlano De Luca, Dostoevskij, Masullo e altri grandi pensatori:
la bellezza, che viene rivelata dal poeta, dal fotografo, dall'artista, spesso per caso con un'altra potente energia:
la luce.

Bellezza, energia, forma, materia, massa, luce, tempo.

Tutti elementi che l'artista, ogni artista, mette in relazione tra loro per costruire una forma, e lo fa a prescindere dall’uso spesso strumentale che poi l’economia e anche la politica ne fa di questa forma.
Energia, Materia, Luce, Tempo.
Sono gli stessi identici elementi alla base del pensiero di un grande pensatore del secolo scorso, che è stato anche colui che ha completamente ribaltato tutte le teorie della misurazione delle spazio e del tempo e che sulle sue riflessioni sulla materia, sull'energia, sul tempo, sullo spazio, sulla luce,  sono basate tutte le speculazioni moderne nella scienza, nella fisica e nel pensiero filosofico. Parlo di Einstein.
Il quale arriva alla sua famosa formula mettendo in relazione, costruendo una eguaglianza, gli stessi identici elementi che mettono in relazione gli artisti:  l'elemento immateriale per eccellenza, l'energia, con l'elemento materiale per eccellenza, la massa delle cose, in rapporto ad una costante la velocità della luce. E = mc2
Forse Einstein, consapevole dell’esistenza reale di questa forza salvifica naturale, voleva solo trovare una formula matematica per misurarla, una formula per misurare la bellezza. 
Forse.

E=Mc2 ve la ricordate?

Einstein viveva una forte religiosità. Dio per lui a differenza della visione Ebraico-Cristiana, non era un Dio personale, antropomorfo, ma era pura energia che attraversava ogni cosa, era la massima espressione immateriale, l'energia pura, come La Bellezza.
Con questa formula Einstein ci dice che Dio (l'energia) non è altro che la massa di ogni cosa (la materia) moltiplicata per la velocità della luce al quadrato.
Einstein pensava che Dio rivelasse se stesso nella meravigliosa armonia e nella bellezza razionale dell’universo che suscitano un’intuitiva risposta, non concettuale, nella meraviglia, rispetto e umiltà che egli associava con la scienza e con l’arte.

La formula della relatività:

-da un lato ci dice che che il tempo non è oggettivo ma soggettivo, quindi che noi viviamo in infiniti tempi tutti diversi tra loro e che in questi infiniti tempi c'è un continuo attraversamento in ogni cosa materiale di qualcosa di immateriale, che accomuna tutto: l'energia;

-dall'altro ci fa vivere l'annullamento del tempo, quando questa formula viene trasformata e diventa la formula base per la realizzazione della più terrificante delle armi di distruzione di massa che l'uomo abbia mai creato.

Se quella era la formula per misurare la bellezza diventa chiaro che La bellezza, questa grande e potente energia che parte dal centro della terra proiettandosi in tutti i punti dell'universo e che contiene in sé un grande forza salvifica, e che può essere vista e vissuta solo oltre i confini del sensibile, contiene un carattere ambiguo:
da forza salvifica può facilmente tramutarsi in forza distruttiva.

La bellezza ha un carattere ambiguo 
ce lo ricorda anche Dostoevskij quando nella traduzione russa di quella frase la bellezza salvera' il mondo, nel testo originale leggo scritto
MIR SPASET KRASOTA'
che letteralmente significa
il mondo deve salvare la bellezza.
Un netto capovolgimento semantico della frase cui siamo abituati a sentire ma che ci da l'idea chiara del carattere ambiguo che la bellezza può contenere.

Oggi, come mai prima, l' immaginario, il simbolico, si traduce in opera d'arte anche attraverso una valorizzazione economica.
Di questo carattere ambiguo della Bellezza l'economia e, quindi, la politica (che oggi più che mai coincidono) ne sono consapevoli, e la bellezza, quale manifestazione dell'arte è spesso soggetta ad un suo uso strumentale, per ricavarne profitto, quindi potere economico e, con scopi demagogici, contribuisce a ricavare potere politico.
L'arte è principalmente una forma simbolica. Un tempo il simbolo nell'arte era l' equivalente occulto e misterioso di qualcosa di immateriale,
oggi il simbolo si è in certo senso «solidificato» diventando merce.
Dall'avvento della industrializzazione, dalla riproducibilità tecnica dell'arte, dal design alla moda alla pubblicità ecc ecc. ogni nostra azione, ogni oggetto realizzato, riveste un aspetto simbolico. Un processo che permette di individuare la presenza di un sistema simbolico anche oltre i confini stretti dell'arte, come nell'oggetto domestico come nel grattacielo, nella video-performance come nella pubblicità, nella moda ecc ecc.
Certo non dico che si dovrebbe tornare indietro, separando il campo del simbolo, dell'arte, da quello dell'economia, sarebbe impensabile, ma almeno potremmo sperare che in un futuro non tanto remoto, arte e economia, pur continuando a convivere, non rinuncino ad essere guidati da quel misterioso istinto che deve sopravvivere tanto nella merce quanto nell'opera di «arte pura»; e che è il solo a poterci guidare e proteggere nei labirinti simbolici per sancire il valore (autentico non solo economico) dell'arte.

Ma questo obbiettivo, di felice convivenza tra queste due dimensioni, a mio avviso, potrà raggiungersi solo quando l'artista diventa consapevole del suo importante e fondamentale dovere morale che è quello di rintracciare e rivelare agli altri la bellezza, che può solo farlo svincolandosi completamente dai meccanismi economici e politici i quali hanno tutti gli strumenti necessari per trasformare la bellezza in qualcosa di tremendo ed orribile.

L'artista, ovvero colui che ha il dono della natura di poter rivelare la bellezza, per essere tale deve prima di ogni altra cosa sentirsi leggero e libero di volare come quei due gabbiani.
Deve essere consapevole che quella leggerezza la può raggiungere solo con un incredibile sforzo anche fisico e che se non riesce a librare e a volare nel vento corre il rischio di diventare solo uno strumento per l'economia e per il potere politico di turno, vivendo una vita fatta di falsa leggerezza come quella di una piuma che lentamente cade, sprofondando nell'abisso della vacuità.

Grazie
M.S.
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