giovedì 14 giugno 2012

CUM FINIS Il salotto ANTICHITA' SCIPPA arte&cultura presenta Cutis Parthenope fotografie di Massimo Buonaiuto a cura di Mario Scippa

CUMFINIS
Il salottoANTICHITA' SCIPPA arte&cultura
presenta
Cutis Parthenope
fotografie di
MassimoBuonaiuto
a cura di
Mario Scippa






Pelle


agitatadal vento gelido, il colore


sbiadito,sfuma la forza. E' impotente


ilmio sguardo, ti segue e poi si perde,


ritrovandosinel silenzio, giù, nel mare.




Un'acquaghiacciata, il caldo pensiero


scioglie.Due lampi di luce, improvvisi,


violentisegni. Il suo tempo è andato.


Luce,aria, erano cibo, ora son nemici.




Pelle,


orasogni la mano calda. Ferma,


daquando nascesti la tua vita guadata:


passione,amore, dolori, piaceri e odio.


Haidanzato nel vento e farfalle cullato.




Trasparentigocce scivolavano, labbra


delcielo sulla tua pelle, fresco mattino,


dicristallo. Il colore lento si trasforma.


Bellaancor di più, ora sei quasi sogno.




Pelle,


vibrala tua, la mia mano sfiora.


Unfremito di piacere prima della fine?


Ilcolore tuo è nei miei occhi, da sempre.


Coloredel calore, nel tempo fu tremore.



Unturbine, pura passione, agita ancora


lamia emozione. Solitaria l'immagine,


stanca,Piccola macchia, colore nel cielo


grigio.E' il tuo riflesso nei miei occhi.




Tesa,trasparente, trema al vento è la tua


Pelle









Lasettimana scorsa a Pozzuoli abbiamo parlato del territorio Flegreopartendo da un sepolcro,dal sepolcro di un mito, quello di Miseno iltrombettiere di Enea.
Anchequi a Napoli abbiamo un sepolcro in mezzo al mare, lo scoglio diMegaride, dove c'è il castel del'Ovo.
!forse non tutti sanno che anche quello è un sepolcro di un mito,anzi di due miti:
ilprimo fa riferimento al mito pagano, quello della sirena Partenope;
ilsecondo allareligione cristiana che a Napoli diventa mito, quello di SantaPatrizia


SantaPatrizia, di Costantinopoli,come Partenope era una vergine, diede voti di verginità, e permantenerli dovette fuggire dalla città perché l'imperatore Costante(nel VII secolo) le voleva imporre il matrimonio. Fuggì inpellegrinaggio verso la terra santa. Una terribile tempesta la feceperò naufragare sulle coste di Napoli e più precisamentesull’isoletta di Megaride (Castel dell’Ovo), dove muore.
Ilsangue invece sarebbe uscito miracolosamente da un alveolo di undente strappato da un cavaliere romano in unmomento didevozione esagerata.Un mito del bene assoluto che insiemea san Gennaro è patrona della città, e con il mito di san Gennaroha in comune lo scioglimento del sangue.

Lasirena Parthenope, adifferenza da come è vista nell'immaginario collettivo, è unibrido tra una donna e un uccello, non ha nulla della belladonna-pesce, nuda, con i capelli biondi che riescono appena acoprirle il seno.
Lacreatura originaria era un essere mostruoso lacui funzione era proprio quella di rendere familiare l’orrido.
Unibrido, come la città di Napoli era per metà osca e per metàgreca.
Lesirene sono manifestazioni del demone meridiano che con il suoincantamento induce sonnolenza ai naviganti e, con la dolcezza dellosciabordio dell’acqua, li accompagna verso la morte. Qui,nel golfo di Napoli, dove i piccoli scogli erano ricoperti di ossabianche, consunte dalla salsedine, quelle dei marinai vittime dellamalia.

LeSirene ammaliavano, con il loro richiamo seducente,i naviganti di passaggio che, soggiogati dal loro canto, perdevano ilcontrollo delle imbarcazioni andandosi a schiantare sugli scogli.
Parthenopenon ci riuscì con Ulisse e si suicidò buttandosi in mare.Il corpo della sirena Parthenope fu portato dalle correnti marine tragli scogli di Megaride (dove oggi sorge il Castel dell'Ovo), e lìgli abitanti trovarono la dea, con gli occhi chiusi nel bianco delviso e i lunghi capelli che ondeggiavano nell’acqua. Venne posta inun grandioso sepolcro, diede nome al villaggio di pescatori e divennela protettrice del luogo, venerata dal popolo e onorata con sacrificie fiaccolate sul mare.

Illuogo dove Napoli ha origine è un sepolcro e contiene due miticontrastanti:
ilbene e il male
Lasirena e la Santa.

Lemostre personali della rassegna CumFinis, sonopartitecon le fotografie di Malja Brando, Opus Reticulatum, l'operareticolare, evocando, simbolicamente, il tracciato reticolare checaratterizza da un lato l'antico muro romano, e dall'altro iltracciato ortogonale della città, elementi simbolici, ordinatori, sucui è fondata la nostra città, Napoli.
Imuri di una città sono il segno più evidente del mutamento urbano esociale. Grazie al loro incessante costruirsi, ricostruirsi emodificarsi sono testimoni privilegiati, prima di ogni altra cosa,dell'aspetto sociale di una città.
Imuri sono ciò che costituiscono la Pelle della città. Quel confineper eccellenza, ambivalente, tra ciò che contiene e ciò che èfuori.
Inarchitettura e in urbanistica il termine "pelle" perdefinire questo confine, oggi è molto in voga, ma ha radicilinguistiche antiche. Ne parlano Vitruvio (II, 8) e ancor piùl’Alberti (VI, 9), ma ne parlano essenzialmente come ornamentodelle murature.
La“pelle” vitruviana e albertiana erano un rivestimento permateriali vili, come lo sono, a parte la funzione protettiva eregolativa, la pelle per i tessuti muscolari o l’abito per il corponudo. Quel rivestimento più esterno di un corpo che protegge itessuti sottostanti, che può avere varia colorazione, ed è unastruttura che può andare incontro anche a processi d'invecchiamentopiù o meno visibili. La “pelle” vitruviana e albertiana è quel mediatore tra l'organismo e il mondo esterno, che ha diversefunzioni, prima tra tutte quella di proteggere, costituendo la primalinea di difesa dell'organismo contro le aggressioni esterne.
Costituisceanche una barriera asciutta e relativamente impermeabile contro laperdita di liquidi. E' anche un mezzo tecnico per far fronte adiverse esigenze, come per esempio quella per la regolazione dellatemperatura.

Massimo Buonaiuto

La pelledella città, come la pelle di un corpo, può contenere un carattereambiguo.
Comeambigua è CUTIS PARTHENOPE la pelle di Napoli nelle fotografie diMassimo Buonaiuto.

Daun lato è una pelle morbida Calda,che avvolge e protegge l'intera città vista da uno dei suoi puntipiù alti, dalla collina del Vomero, dallaPedementina, chesembra essere uniforme sugli edifici e sulla natura, fino al Vesuvioche sullo sfondo, come una escrescenza naturale su un corpo, sembranaturalmentetenderla.




Daun altro lato, come nel corpo della sirena, mostra la sua naturaibrida, la pelle squamata della periferia Est,dove i muri sono di acciaio e di vetro, in contrasto conil tufo,l'elemento naturale con cui è caratterizzato il muro di Napoli.



Questoè ciò che appare scontato parlando della pelle di una città,ma noi all’iniziodi questa rassegna abbiamo detto che:
la fotografia, come la poesia, èuno strumento che ci permette di andare oltre i confini delsensibile, oltre ciò che appare scontato.
Eabbiamo anche detto che la pelle di una città è ambigua.
L’ambiguitàdella “pelle” sta tutta nella funzione del ricoprire che, secondoi casi, può rivelare meglio o dissimulare la natura della cosanascosta.

In queste foto lavera pelle rappresentata dal fotografo non sono i muri comepotrebbe essere scontato che sia, ma lapelle della sirena partenope il fotografo l’ha individuata nelcielo.

Ilcielo sulla città, checopre, riveste, protegge, amalgama le diversità e i contrasti, lesimilitudini, le asprezze, le delicatezze, culla gli amori idesideri, quel cielo che si apre in alcuni punti della città ed èframmenti o sottili strisce di azzurro strette e lunghe che sipossono osservare solo a testa completamente alzata con il naso peraria se si è fisicamente nel suo corpo, nel ventre della città, neisuoi vicoli.
Ilcielo, quanto è bella questa parola, ripetetela nella vostra mente,vedete come suona bene: ci da tutta l’idea della morbidezza dellaelasticità della materia che la compone, la morbidezza el’elasticità della pelle di Napoli.
Buonaiutoci fagustare unlembo quadrato di questa pelle della sirena, dall'internodel cortile di uno dei più bei palazzi napoletani il palazzo delloSpagnuoloai Vergini, nella Sanità. Una sua particolare visione di quelladelicata superficie di confine tra ciò che è fuori e ciò che èdentro la città.

Ilcielo come la pelle,
così come l'ha descritta un grande negli anni50' :

«Èuna vergogna che ci sia al mondo un cielo simile. È una vergogna cheil cielo, in certi momenti, sia com’era il cielo in quel giorno, inquel momento. Ciò che mi faceva correre per la schiena un brivido dipaura e di schifo, non erano quei piccoli schiavi appoggiati al murodella Cappella Vecchia, né quelle donne dal viso scarno vizzoincrostato di belletto, né quei soldati marocchini dai neri occhiscintillanti, dalle lunghe dita ossute: ma il cielo, quel cieloazzurro e limpido sui tetti, sulle macerie delle case, sugli alberiverdi gonfi di uccelli. Era quell’alto cielo di seta cruda, di unazzurro freddo e lucido, dove il mare metteva un remoto e vagobagliore verde. Quel cielo delicato e crudele che sulla collina diPosillipo dolcemente incurvandosi si faceva rosso e tenero come lapelle di un bambino».
EraCurzio Malaparte ne "La Pelle".
M.S



Nessun commento:

Posta un commento