sabato 21 maggio 2011

4 MAGGIO Intervento 4 CONVERSAZIONE SUL LIBRO GIALLO TUFO di FRANCESCO ESCALONA

La parola Tufo


Buonasera a tutti.

Ho avuto il libro di Escalona tra le mani appena l'altra sera. Come mia abitudine incomincio a sfogliarlo e sfogliandolo, velocemente, pagina per pagina, incomincio a svolgere una veloce lettura, giusto per avere una idea di cosa tratta l'autore nel libro e di come lo tratta.

La prima idea che mi sono fatto è quello di un libro costruito su vari livelli di lettura, strutturati su una storia centrale, un giallo, il ritrovamento del cadavere di un uomo. Non di un uomo qualsiasi, ma di un personaggio molto attivo nella zona dei Campi Flegrei nella ricerca dei resti archeologici e la loro tutela e conservazione.

I Campi Flegrei, lo sfondo della storia che fin dalle prime pagine non è un semplice sfondo ma il centro di tutta la narrazione, il vero protagonista è quel territorio ricco di storia, di mito, di leggende, di natura, di tradizioni, di sapori di odori.

In tutto il libro ognuno di questi elementi caratterizzanti questo territorio sono descritti minuziosamente in ogni piccolo e apparentemente insignificante dettaglio, fino a condurre il lettore in un viaggio appassionante, dove il ritmo è dato sempre dalla misura del tempo che si usa in un giallo, quindi accelerato e allo stesso momento ogni singola scena arricchita di tutti gli elementi di rimando descrittivo quasi fotografico che solo la lentezza e la dilatazione temporale può dare, ad ogni passaggio. Un vecchio motto latino diceva Festina Lenti (affrettati lentamente) e se dovessi definire il tempo di questo libro dovrei usare una espressione del tipo : è un tempo terribilmente veloce nella sua lentezza.

Ma questa sera non voglio parlare del libro, perché c'è chi più di me potrà dire molte cose rispetto a questo testo, dallo stesso autore, che vi ricordo è stato anche presidente del Parco Regionale dei Campi Flegrei, architetto, alla dottoressa Di Poce, che è entrata nel testo svolgendo una lettura sulla mitologia di quei luoghi raccontati da Escalona dove al centro c'è un giallo nel giallo, la ricerca di Dicearchia, il governo dei giusti, l'antica città greca fondata dai pitagorici e che si troverebbe al centro di questo magnifico territorio, sotto il rione terra a Pozzuoli.

Detto ciò, questa sera mi limiterò a fare delle riflessioni su una sola parola di questo libro che, a mio avviso, è da considerare come il vero anello tra i campi Flegrei e la città di Napoli. La parola Tufo

Per me, napoletano, architetto con una formazione culturale da urbanista, la parola tufo smette di essere un rimando semantico ad un semplice materiale da costruzione e invade il mondo del simbolo e della memoria che rimanda direttamente alla città, a Napoli.

Tutta la città di Napoli è fondata su una conformazione morfologica collinare, costituita da enormi banchi di tufo, che si affaccia sul mare.

Appena leggo o sento la parola tufo, è più forte di me, ma si formano in me immagini che rimandano alla “forma” della città in relazione alla luce.

-Da un lato, la parola tufo evoca in me l'immagine di strade e vicoli che si intersecano su antichi tracciati ortogonali, dove la luce del sole fa fatica ad entrare e la pietra sembra impastata di un umido atavico, e sui i quali tracciati, attraverso il materiale, appunto il tufo, lavorato nei secoli, stratificatosi verticalmente, si può leggere la storia della città;-Da un altro lato, l'immagine di grandi costruzioni che sul territorio dialogano tra loro a chilometri di distanza, Ovvero, l'ultimo vero esempio di intervento urbanistico a Napoli dove si interviene a scala territoriale e si mettono in relazione grandi costruzioni tra di loro e l'ambiente (palazzo Reale, Capodimonte, La reggia di Portici, Il Vesuvio, le colline, il golfo ecc.);-Infine, da un altro lato ancora, evoca in me, la città senza luce, quella di sotto, quell'enorme sistema di cavità da cui nei secoli è stata estratta, per sottrazione, la materia da lavorare per realizzare la città.Sì! quando penso al tufo, al materiale con cui è stata costruita Napoli, non posso non pensare alla città di sotto, una città costruita per sottrazione di peso e che, a mio avviso, ha influito tanto sul carattere complessivo della città tutta.

    Questa sera Escalona ci presenta il suo libro, Giallo Tufo. Un giallo per raccontarci dei Campi Flegrei, come ho detto, terra di mito e di storia. I Campi Flegrei

    Un luogo fisico dove si materializzano davanti ai nostri occhi i simboli universali della vita espressi nei quattro elementi fondamentali: Acqua, Fuoco, Aria e Terra.

    Napoli è una colonia cumana è stato detto, e in quel territorio raccontato nel libro c'è tutta Napoli, ci sono le sue vere origini. Prima tra tutte la forma dell'architettura tagliata nella roccia che ritroviamo nelle cavità, nella città di sotto. Pensate all'antro della Sibilla, quella sezione trapezoidale è stata il modello per tutte le cavità sotterranee di Napoli, da cui è stato ricavato la materia per costruire la città, e allo stesso tempo ricavare degli ambienti di una bellezza straordinaria.

    La città senza luce.

    Io sono originario del quartiere Sanità, nei miei ricordi di bambino ci sono i cosiddetti “ricoveri”, enormi cavità sotto ogni palazzo del vicolo, spesso comunicanti tra loro. Ne sentivo parlare da bambino di questi luoghi, dove in tempo di guerra la popolazione si riparava dai bombardamenti. Da bambino ho ascoltato tanti racconti su questi luoghi, racconti di storie vissute o semplicemente inventate.

    Nell'immaginario mio, di bambino incantato da quelle storie, quei luoghi erano luoghi magici, li vedevo nella mia mente quasi come se fossero enormi basiliche scavate nella collina, dove vivevano personaggi strani e si svolgevano chissà quali riti. Penso al “ricovero” sotto al mio palazzo del vico Lammatari, dove si scendeva a due livelli sotto, e sotto si diceva che scorreva un corso d'acqua ed era addirittura ormeggiata una barca, e si diceva che quel corso d'acqua arrivava fino a Santa Lucia, al mare, “for' a Caracciolo”. Io immaginavo che la sotto vivesse un omino traghettatore, una sorta di Caronte tassista che non aveva mai visto la luce del sole.

    Ricordo pure il cosiddetto “o' cavone a ret'o' Mont' de Cristallini”. Era una grandissima cavità scavata sotto la collina di Capodimonte, sul lato Nord-Est del quartiere Stella, dove da ragazzino mi inoltravo insieme ai miei amici.

    Attraverso dei sentieri sotterranei potevamo raggiungere un cunicolo in salita quasi verticale che ci portava direttamente nel Bosco Di Capodimonte. Ricordo la luce che filtrava da quel cunicolo, da lontano sembrava un faro che proiettava il fascio sulla parete, e tutta la cavità era illuminata da quella luce riflessa. Ricordo che a ridosso della bocca di apertura di questo cavone, c'erano tante piccole aperture, tutte rifinite con infissi colorati e pareti piastrellate, con improbabili terrazzini che si affacciavano sullo slargo e ognuna con una propria scala che sembrava ricavata anch'essa nella montagna. Erano case, scavate direttamente sulla collina di tufo. In una di quelle case abitava un mio caro amico, Gerry o' niron' (perché aveva la pelle di un colorito scuro), La sua casa era costituita da due piccoli ambienti, uno dentro l'altro, e l'unica apertura era quella da dove entravo, quel foro nella montagna con il terrazzino davanti. Ricordo una particolare sensazione che avvertivo ogni volta che l'andavo a trovare, una sensazione scaturita dall'odore della pietra: un odore acre, forte, riconoscibile tra tanti, era l'odore del tufo.

    Crescendo sono andato a ricercarli quei luoghi e mi sono accorto che questi luoghi della materia, nati per una questione pratica (reperire materiale da costruzione) così come sono stati realizzati, nel corso dei secoli, per la loro forma, la luce, il taglio delle pareti, per quei grandi spazi che si potevano raggiungere solo da piccoli cunicoli e che si aprivano davanti agli occhi improvvisamente, avevano quel carattere che io immaginavo da sempre:

    Queste cavità, oltre ad essere degli spazi fisici di una bellezza straordinaria sono anche

    Invece, negli ultimi decenni questi luoghi sono stati abbandonati a se stessi, come luoghi di risulta, usati dai malavitosi, e penso a tutte quelle cavità del vallone dello Scudillo e delle Fontanelle, dove all'interno delle quali, per decenni ne hanno fatto da padroni, svolgendo i loro loschi affari e nascondendo casse di sigarette, auto rubate, armi, ecc ecc.

    Poi la consapevolezza da parte della politica amministrativa della città che potevano essere considerati delle risorse. Ma il più delle volte sono state politiche mosse da una mala cultura vestita di nuovo, che con la scusa della rivalutazione e del riutilizzo per il bene della collettività, il vero obiettivo è sembrato essere quello a fini speculativi. E con questo obiettivo hanno sacrificato, oltraggiato e mortificato la bellezza di questi luoghi. Non bisogna andare molto lontano da qui per avere un esempio di quello che sto dicendo, penso alle cavità di Pizzofalcone, qua a due passi da noi, l'ultimo vanto di Napoli, un parcheggio a 5 stelle. Uno spazio straordinario e di alto potere evocativo, dove la sensazione che si provava entrando era la stessa che si prova entrando in una spettacolare cattedrale Gotica. La luce, era meravigliosa in particolare di pomeriggio, un fascio cadeva prepotentemente dall'alto. In virtù della necessità e del riutilizzo si è completamente distrutta questa meraviglia per farla diventare un parcheggio, ma complici dei politici di queste scelte sono anche gli storici dell'arte, sovrintendenze e tutti gli organi competenti, nessuno di loro ha fatto niente affinché non si svolgesse questo scempio.

    A tal proposito vi voglio leggere una frase dal libro:

    da: Giallo Tufo di F. Escalona

    Giovedì 29 maggio 2009, ore 16.00

    Parla Tobia, giovane archeologo che sta accompagnando il protagonista del libro e Margherita, sotto il rione Terra sulle traccie di Dicerchia, e dice:

    “al giorno d'oggi, comunque, e in questo ha proprio ragione Margherita, sopratutto da queste parti, si sottovaluta troppo quanto possa contare l'aspetto culturale e quello del senso di appartenenza di un popolo ad un passato nobile, per condividere e realizzare grande idee e grandi progetti; programmi politici ambiziosi. Per sfuggire ad egoismi dilaganti e ad una incultura imperante tesa solo al raggiungimento di fini personali e di corto respiro.”

    Questa frase mi ha fatto venire in mente un'altra frase in una intervista a Massimo Cacciari fatta da Claudio Velardi, pubblicata in Città Porosa. Era il 1992 ed è attualissima:

    La mia città, il mio paese non può essere massacrato da voi, camorristi o dissennati politici che siate! Il mio paese ha questa memoria, ha queste straordinarie potenzialità, ha questo destino, ha questo significato simbolico, e voi non potete e non dovete impadronirvene.... VADE RETRO SATANA, non potete massacrarmi Venezia, non potete massacrarmi Napoli!”.

    Ecco, la povertà culturale di chi ci governa, che sembra non voler capire la vera potenzialità di Napoli, alla pari della speculazione dei malviventi che per anni hanno usato le cave, è quella di considerare questi luoghi non tanto per le loro intrinseche potenzialità legate alla memoria, individuale e collettiva, da salvaguardare e custodire, ma come luoghi di risulta, vuoti da riempire.

    Una povertà culturale che solo un vero accorpamento tra tutte le forze culturali, anche politicamente trasversali, potrebbe e dovrebbe combattere .

    Questi descritti nel libro e quelli di Napoli che immediatamente sono collegati, sono i luoghi del tufo, della nostra materia.

    La parola Materia ha come radice etimologica Mater, ovvero la stessa radice di Madre.

    Profanare questi luoghi con progetti aberranti che li snaturano è come profanare i luoghi della Madre di ognuno di noi.

    M.S.© copyright2011


    Materia

    Mater

    Madre.

    Pietra azzurra, sconfinato deserto, anima mia

    scheggia di vetro nel vento, viva e calpestata.

    Madre di tutte le madri, granello, vaghi nell'infinito

    e in una clessidra scivoli via. Fuoco, è il tuo cuore.

    Efesto forgia spade, gioielli, reti e tranelli, per te son feste.

    Affondano nel tempo le radici dell'ulivo che apre le sue ali al vento.


    Piume per chiome, fresche le tue acque, dolci

    erano i tuoi frutti, poi demoni, divoratori di sabbia,

    il nulla. Il tuo mostro. Il tuo seno, un morbido tendone

    arancione, dove il bimbo dorme e dall'etere invisibile

    la più violenta delle ninna nanna. Finta, umida selva,

    tre scimmie ed un leone piangono, occhi lucenti

    del caimano in agonia.


    Vola il gabbiano, tra ciò che risulta vano e sporco.

    Era Giallo, Profumo di limone.

    Granello nell'universo, la tua luce è stanca.

    Sei Azzurra, da lontano, scura in te.

    Tu hai la luna ed io la fortuna.

    Geometrica è la sua danza, nell'infinito è sogno.


    Ed io Abbraccio, da lontano, le Verità! Scritte

    dai tempi dei tempi, in tutte le lingue. Ora bruciano

    oltre le porte dell'inferno.

    Le cantava il poeta!

    Una lacrima solca il volto del guardiano della memoria.

    Armature svuotate, principi e mercenari, affamati!

    Feudi e castelli bruciano, nel campo di viole.


    Oro, argento, ocra, bruni, gialli, rossi e tutti i colori

    inghiottiti dal nero, il fumo t'avvolge. La spada,

    del preferito figlio tuo, conficcata nel cuore tuo di madre.

    Violenta tempesta,

    azzurra camicia trasparente, leggera, stracciata,

    resiste ancora.


    Amore di madre, tutto perdona.


    M.S.© copyright2011

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